E Dilma scarica i fedelissimi (corrotti) di Lula

Rio de JaneiroQuattro ministri in due mesi. È il pesante prezzo che il presidente brasiliano Dilma Rousseff sta facendo pagare al suo governo in questo inverno sudamericano. I giornali l’hanno battezzata la «faxina de Dilma», ovvero la pulizia che Dilma ha imposto ai ministri e ai loro funzionari corrotti, costretti alle dimissioni. E a questo punto il tema politico che inizia a scuotere il Paese è relativo anche al passato prossimo, perché tutti gli uomini coinvolti negli scandali sono eredità dirette del governo di Lula. Tutti e quattro i ministri sono ex uomini dell’ex presidente, che ha governato il Paese per 8 anni, fino al 2010. In altri termini, sul miracolo di Lula si sta alzando un’ombra inattesa. E Dilma sembra cogliere l’occasione per affrancarsi dal suo padrino politico.
Proprio lui, il presidente eletto dal popolo, e che da questo ha preso anche la forza di assumere posizioni internazionali indifendibili, come il rifiuto all’estradizione per Cesare Battisti, oggi appare più simile che mai ai suoi peggiori predecessori. La corruzione è sempre stata una piaga della politica brasiliana. Con Lula sembrava ridotta ai minimi termini, a fronte di un governo abile nel rilancio dell’economia e nella riduzione della povertà. Al punto da arrivare a dare lezioni di democrazia anche agli amici italiani. Perché se oggi Battisti rilascia interviste dalle spiagge di Rio, il merito è tutto di Lula, che personalmente ha avuto l’ultima parola sull’estradizione, anche contro il parere dei tribunali nazionali. Convinto, contro tutto e contro tutti, che il criminale comune Battisti fosse il frutto di una democrazia malata come quella italiana. Ebbene, i fatti di queste ore rendono Lula più nudo che mai, e forse prigioniero della sua stessa presunzione.
La pulizia di Dilma è iniziata il 7 giugno, con le dimissioni di Antonio Palocci, ministro della Casa Civil (una sorta di Attuazione del programma di governo), incapace di spiegare la crescita del proprio patrimonio personale. Palocci era stato l’estensore della Carta ao Povo Brasileiro, documento fondamentale per l’elezione di Lula nel 2002. Il 6 luglio è caduto Alfredo Nascimento, ministro dei Trasporti, accusato di superfatturazioni nelle opere del suo dicastero. Nascimento è un altro dei Lula boys, titolare dello stesso ministero nel 2004 e nel 2007. Il 4 agosto Dilma ha poi accettato le dimissioni di Nelson Jobim, potente ministro della Difesa, colpito da una valanga di critiche sul suo operato. Inutile dire che anche Jobim è una creatura dell’ex presidente, che lo scelse per gestire i delicati rapporti con le forze armate nel 2007.
Infine, ed è la storia di qualche giorno fa, sulle prime pagine dei quotidiani e del settimanale Veja che ha rivelato molti retroscena, le dimissioni del potentissimo ministro dell’Agricoltura, Wagner Rossi. Accusato di corruzione e di frode elettorale (avrebbe tra l’altro ordinato di distruggere 8 tonnellate di fagioli, in una terra dove ancora si soffre la fame). Rossi fu nominato da Lula un anno fa, e poi confermato da Dilma nel suo governo.
Il Pt (Partito dei lavoratori, a cui appartengono sia Lula sia Dilma) è ora nei guai, profondamente spaccato da faide interne.

Ed attaccato dai principali mezzi d’informazione. I suoi vertici cominciano a capire che l’etichetta della corruzione potrebbe presto rovinare l’immagine del governo Lula. Pesando anche su quella del Brasile nei suoi rapporti internazionali.

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