RomaNon si capisce se sia una furbata o solo un destino ricorrente, ma anche stavolta, sul caso Profumo-Unicredit, la Lega è riuscita a ritagliarsi un ruolo da king maker che forse, anzi probabilmente, non ha. Limpressione, persino tra i deputati della Lega, è che al Carroccio sia stata attribuita una parte da protagonista in una vicenda che ha avuto il suo motore non nelle insofferenze leghiste per le sponde libiche di Profumo o nelle presunte mire bossiane sul colosso Unicredit, ma altrove. Molto più, per esempio, nelle valutazioni degli azionisti, tra cui certamente anche le fondazioni care alla Lega (ma non per questo leghiste) circa le decisioni del top manager, in particolare il rifiuto dei Tremonti bond e i successivi aumenti di capitale non certo al ribasso, e poi ancora le aperture ai libici, quelle sì a prezzi appetibili.
In questo contesto, gli strepiti della Lega contro la presenza di Gheddafi in Unicredit e prima ancora sulla necessità di avere banche «padanizzate», sono una cornice che non incide più di tanto sulla sostanza. Semmai la propaganda della Lega è significativa per ricostruire qualcosa delle mappe interne al partito, molto più articolato e differenziato di quanto non voglia apparire. Il versante veneto, da sempre piuttosto autonomo (la Liga veneta è di fatto un partito diverso), è stato ed è ancora quello più attivo su questo fronte, mentre i lombardi, cioè il cuore della Lega nord, sono senzaltro più prudenti, quasi schivi, malgrado le uscite di Bossi. Il segretario federale, peraltro, è notoriamente molto vicino a Tremonti, che si è speso contro la defenestrazione di Profumo. E infatti ieri Bossi parlava la stessa lingua del ministro dellEconomia, lamentando le modalità della sfiducia «al buio», senza un successore nellimmediato, e avvertendo semmai un pericolo non nei libici (cavallo di battaglia di Tosi e Zaia), ma nei tedeschi («Se cè un minimo di azione intelligente da parte delle Fondazioni i tedeschi non ce la possono fare», le parole del leader leghista ieri).
Certo, ex post la Lega può anche sfruttare lesagerata attribuzione di responsabilità politica sulla vicenda Profumo. Il sindaco di Verona Flavio Tosi, quello che più di tutti ha vestito i panni del Marco DAviano veneto, del difensore dellitalianità (anzi, della padanità) dellistituto di credito rispetto alle mire libiche, sembra quasi aver messo il cappello sulloperazione. Non a caso ieri Tosi ha premuto ancora lo stesso tasto, chiedendo che «gli organismi di controllo, Bankitalia e Consob vedano di fermare quella che io considero la scalata libica a Unicredit». Dietro lattivismo veronese cè anche una ragione di sostanza. La Fondazione Cariverona è, tra le fondazioni che siedono in Unicredit, quella che ha la quota maggiore di capitale, e un grande elettore di Cariverona è proprio il Comune guidato da Tosi. Questo, tuttavia, non basta per assegnare al sindaco leghista una qualche regia nella vicenda. Tantomeno per Luca Zaia, presidente del Veneto e osservatore molto attento delle vicende interne a Unicredit, che ha preferito chiarire subito, intuendo il tono delle letture politiche che sarebbero arrivate, che la decisione su Profumo «è una partita meramente societaria». La politica osserva, esprime giudizi e propositi, la Lega soprattutto, ma poi sono gli azionisti che decidono.
Questa è la linea che, in modo ancora più chiaro, quasi a distinguersi dal protagonismo veneto, ha dato luomo-finanza della Lega, cioè Giancarlo Giorgetti. Il deputato varesino, che è anche segretario della Lega lombarda (cioè la carica più importante dopo quella del capo), ha di fatto mandato un segnale a Tosi, spiegando in due interviste (fatto molto raro per Giorgetti, che parla solo quando è veramente necessario...) che la Lega «non centra», che il caso di Alessandro Profumo «nasce e finisce dentro al consiglio di amministrazione di Unicredit», e che invece di esultare per il siluramento dellad, la Lega è «perplessa» per «il fatto che si cerchi di sostituirlo allimprovviso e non si abbia già definito il sostituto». Insomma la linea Tremonti-Bossi, che è poi quella della Lega nord, qui abbastanza separata dai veneti. Questo non vuol dire che la Lega sia uno spettatore passivo.
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