E negli Stati Uniti decolla la riforma di Wall Street

Il raggiungimento di un’intesa sul tema cruciale della crescita economica rischia di essere più complicato del cubo di Rubik per il G20 che si apre oggi a Toronto. Un’opposta filosofia di gestione del periodo post-crisi divide Stati Uniti ed Europa. Washington è decisa a perpetuare, finchè ce ne sarà bisogno, le azioni per stimolare il corpo dell’economia e invita il Vecchio continente a fare altrettanto; Bruxelles (e soprattutto Berlino) è invece convinta che dal risanamento dei conti pubblici possa derivare lo sviluppo.
Così, mentre la tre giorni canadese si è ufficialmente aperta ieri con la riunione ristretta del G8 ad Huntsville (per l’Italia erano presenti il premier Silvio Berlusconi, il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, oltre a Mario Draghi nel ruolo di presidente del Financial stability board), il sentore del fallimento del summit è arrivato ai piani alti del Fondo monetario internazionale. Ancor prima dell’apertura dei lavori, gli uomini di Dominique Strauss Kahn hanno messo nelle mani dei grandi della terra un documento-ammonimento. In caso di mancato accordo, dicono, il costo sarà salato: 30 milioni di posti di lavoro e 4mila miliardi di dollari bruciati nei prossimi anni.
L’agenda del vertice è particolarmente fitta (tra i temi, anche un capitolo dedicato alla sicurezza internazionale e alla pace), ma sarà la complicata ricomposizione delle divergenze in materia economica a caratterizzare i lavori e a determinarne l’esito. Ieri, nella bozza del G8, si faceva riferimento a «una ripresa che prende piede» e alla necessità di costruire «società più sicure, eque, partecipative e sostenibili in tutto il mondo». Il presidente Usa, Barack Obama, si è presentato all’appuntamento canadese forte del sì incassato ieri dalla “sua“ riforma delle regole del sistema finanziario e dopo aver incassato il (parziale) successo della maggiore flessibilità dello yuan decisa dalla Cina. Ma è all’Europa che Obama si è subito rivolto affinché vengano mantenute le misure a sostegno della crescita. Per tutta risposta, Angela Merkel ha ricordato che questo è «il tempo di ridurre i deficit. Dobbiamo - ha aggiunto il Cancelliere tedesco - consolidare i bilanci in modo intelligente per garantire una crescita sostenibile».
Berlino intende recitare un ruolo di primo piano a Toronto, forte dell’appoggio di Francia e Inghilterra sulla tassazione delle banche. Un aspetto delicato che ha finito per allargare ancor di più le divisioni all’interno di un’Europa che già mal digerisce la manovra-monstre con cui la Germania ha, di fatto, costretto gli altri partner europei a seguirla sulla strada del rigore. Sul giro di vite al credito esiste, al momento, un accordo di massima che ingloba anche la contrarietà di Stati come l’Italia, dove le banche non hanno beneficiato di aiuti pubblici. Alla fine, potrebbe uscire una soluzione che lascia libertà di scelta ai singoli governi. «La tassazione sulle banche - ha detto Draghi - non può costituire un’alternativa alla riforma della finanza, che deve restare l’obiettivo prioritario e più urgente». Problema: mentre gli Usa hanno mandato in porto il new deal finanziario, in Europa è invece ancora in alto mare il pacchetto sulla supervisione finanziaria e sul controllo dei settori della finanza più a rischio. Sugli hedge fund, per esempio, non c’è accordo tra Stati membri e Parlamento Ue: il voto, previsto per luglio, è così slittato a settembre.

E le regole stringenti di Basilea 3 (oggetto di discussione del G20) che costringono le banche ad accumulare maggiori quantità di riserve per superare eventuali choc senza il ricorso agli aiuti pubblici, potrebbero essere ammorbidite.

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