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E nel Negev sono sbarcati gli afro-americani

Appartengono a una setta convinta di discendere dagli israeliti. Nei kibbutz di Dimona se ne sono insediati più di 3mila

Le donne portano i tipici copricapo colorati dell’Africa occidentale; le bambine un velo simile a quello delle suore; gli uomini indossano la kippah. Gli «ebrei neri», come si fanno chiamare, vivono a Dimona, nel del deserto del Negev, in Israele. Sono una comunità di 3.000 persone. Nel quartiere degli «ebrei israeliti africani di Gerusalemme» sembra d’essere sul set di un film di Spike Lee, nel sobborgo di una città degli Stati Uniti. «Benvenuti nel villaggio della pace», è scritto in inglese su un bianco arco in ferro battuto, all’entrata del loro «kibbutz urbano». Tutti parlano inglese con un forte accento americano. «Yeah man, certo che ti faccio strada, questa è la mia casa», dice un uomo di colore alla guida di un furgoncino. La sua storia, come quella di tutti i suoi vicini, parte da Chicago, dove nel 1966, Ben Carter, il fondatore, detto Ben Ammi, il figlio del popolo, ebbe una visione. Raccontano i suoi discepoli che l’arcangelo Gabriele gli rivelò che gli afro-americani discendono dagli israeliti: dopo l’esilio babilonese sarebbero fuggiti in Africa, poi, con la schiavitù, deportati negli Stati Uniti. Dopo una tappa in Liberia, Ben Ammi e seguaci arrivarono a Dimona. La comunità fu accolta sotto le leggi d’immigrazione (aliyah) che si applicano agli ebrei: ottennero la cittadinanza. Poi, visti i continui arrivi, il Rabbinato d’Israele decise che gli afro-americani di Dimona non erano ebrei e per diverso tempo i discepoli di Ben Ammi rinnovarono visti turistici. Nel 2004 fu concessa loro la residenza, ma non la cittadinanza. I rabbini però sono scettici. Il loro credo infatti differisce dal giudaismo: si basa sulla Torah, i primi cinque libri della Bibbia, ma non sul Talmud (raccolta di insegnamenti rabbinici). Osservano lo shabbat ma lo considerano anche giorno di digiuno. Hanno uno stile di vita sano: sono vegetariani e ritengono lo sport parte integrante della vita spirituale.
La comunità si è inserita però bene nel tessuto cittadino, già di per sé variegato: a Dimona nella stessa strada passeggiano beduini, bionde donne russe, immigrati etiopi, ebrei ultraortodossi vestiti di nero. I giovani della comunità, essendo residenti ma non cittadini, non devono prestare il servizio militare. Eppure, oltre cento dei loro ragazzi hanno fatto il militare o sono ora sotto le armi.

La conferma della completa integrazione, dicono loro, è arrivata quando un ragazzo del kibbutz è stato selezionato come rappresentante d’Israele al concorso musicale internazionale Eurovision.

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