E ora Blair diventa banchiere Ma solo per pochi super ricchi

LondraIl potere logora chi non ce l’ha, diceva qualcuno. Non è detto però che per tenerselo stretto occorra rimanere primo ministro. Guardate l’ex leader britannico Tony Blair e imparate da lui. In un colpo solo si è scrollato dalle spalle il peso di un Paese già in recessione e si è costruito una seconda carriera, molto più redditizia della prima. Da capo del governo si è inventato un futuro nel campo delle consulenze finanziarie. E che consulenze, come ha rivelato ieri il Sunday Times nella seconda puntata di un’indagine giornalistica dedicata da alcuni quotidiani nazionali alle ricchezze accumulate dall’ex premier negli ultimi tre anni.
Dopo gli incarichi estemporanei che gli avrebbero fruttato fino a 20 milioni di sterline, adesso l’ex premier laburista ha deciso di pensare in grande inaugurando una sua «boutique» finanziaria riservata ai super ricchi del mondo. La sede, nell’esclusivo quartiere londinese di Mayfair, la dice lunga sulle previsioni di guadagno derivanti dal nuovo business che ha appena ottenuto tute le autorizzazioni necessarie dalla Fsa, la Financial Service Authority,l’ente che detta le regole nella City.
Quasi una banca personale insomma, anche se la nuova creatura blairiana per ora è soltanto una delle tante costole collegate alla Tony Blair Associates, la compagnia creata dall’ex leader politico per incassare senza troppo clamore i tanti introiti derivanti dalle sue molteplici consulenze. Si sa ancora molto poco della futura società, però sembra essere già pronto un nome: almeno provvisoriamente si chiamerà Firerush Ventures 3 e sarà uno dei rami della multiforme attività di consulenza finanziaria, commerciale e politica messa su da Blair dopo essere uscito per l’ultima volta dal numero 10 di Downing Streetnell’estate del 2007.
Il pressante interesse della stampa britannica per il cospicuo patrimonio di Tony Blair e famiglia non è casuale. La scorsa settimana la decisione di Tony di devolvere tutti i proventi derivanti dalle vendite del suo nuovo libro «A journey», in uscita i primi di settembre, alla Royal British Legion, l’associazione che si occupa dei reduci di guerra e delle loro famiglie, aveva suscitato sentimenti contrastanti. Inoltre aveva stuzzicato la curiosità dei mass media che erano andati a fargli un po’ i conti in tasca, ricordando l’enorme patrimonio immobiliare della famiglia Blair (ben sette abitazioni) e il vasto giro d’affari messo su dall’ex primo ministro laburista, subito dopo la sua uscita di scena.
Fino ad ora si era trattato però soltanto di attività di consulenza trasversali, seppur importanti, coperte a una fitta rete societaria in grado di coprire le reali entrate. Se però l’indiscrezione del Times dovesse essere confermata nell’ambiente, la creazione della nuova società costituirebbe il salto di qualità di Blair nel mondo della finanza. E questo spiegherebbe anche la sua improvvisa generosità nei confronti delle associazioni non profit.
Amicizie e contatti del resto, all’uomo non mancano, né per quanto riguarda i futuri clienti, né per collaboratori. Sono già ricomparsi all’orizzonte alcuni personaggio che in passato avevano lavorato con lui e sono pronti a lanciarsi nella nuova avventura assieme al loro vecchio capo.
Tra quelli che hanno lavorato per Tony Blair a Downing Street figurano Catherine Rimmer, già operativa nell’unità di ricerca governativa, e Jo Gibbons, ex consulente dell’esecutivo laburista che ora nuovo direttore della società. Si rivede poi Jonathan Powell, ex capo dello staff a Downing Street e oggi uomo di Morgan Stanley.
Altro personaggio di spicco del nuovo entourage è Varun Chandra già con Lehman Brothers. Tutti lavoreranno formalmente per le società create da Blair, offrendo servizi esclusivi e costosissimi agli uomini più ricchi del pianeta, almeno questo spiega il Times solitamente ben informato a proposito dell’ex primo ministro. Il quale sembra molto più ricco e meno logorato adesso che il potere l’ha perso. Soltanto quello politico s’intende. Quello economico l’ha conquistato proprio ora, libero com’è dalle preoccupazioni che hanno tormentato la sua carriera politica. Forse gli rimane qualche oscuro rimorso per essere sceso in guerra contro l’Irak, ma l’attuale conto in banca è capace di farglielo dimenticare in fretta.

E sulle nuove società la sua coscienza sembra essere a posto. «Non esiste alcun vantaggio fiscale nella struttura della compagnia e in quelle ad essa collegate», ha infatti prontamente fatto sapere al Times un suo portavoce.

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