E ora il «Grande fratello» ci spia anche dal TomTom

L’ultimo colpo alla nostra intimità è stato inferto in Olanda: siamo spiati, controllati e adesso pure multati. Perché da quelle parti adesso pure andare in automobile è diventato pericoloso, a meno che non togliate la batteria dal vostro cellulare e buttiate via il vostro navigatore ultimo modello. In pratica: la polizia locale ha comprato da una società terza tutti i dati degli utilizzatori del TomTom, con il risultato che ora gli autovelox sanno dove andare a colpire. Illecito? Macché, tutto legale: sul TomTom c’è scritto che la vostra privacy è al sicuro, ma non - visto che è perfettamente logico che sia così - che la polizia può fare quello che vuole. E quindi comprarsi le vostre abitudini alla guida, piede pesante compreso.
Dai Paesi Bassi insomma ecco l’ultimo colpo bassissimo alla privacy, arrivato poche ore dopo la notizia che la Sony potrebbe aver regalato agli hacker i dati sensibili dei suoi 77 milioni di abbonati alla piattaforma online della Playstation 3. E la domanda così diventa spontanea: essere sempre connessi alla rete sta diventando un rischio?
Se lo chiedono anche le aziende del settore, che nel futuro puntano tutto sul «cloud», la nuvola che contiene (o almeno dovrebbe) tutta la nostra vita - foto, musica, video e dati - grazie a un server centralizzato. Ed è su questo che si gioca la scommessa della tecnologia prossima ventura, perché perdere solo un dato, figurarsi 77 milioni, è un fallimento che può provocare un vero crac.
Guardate ad esempio cosa succede in questi giorni in casa Apple: solo l’indiscrezione che l’iPhone possa «mappare» la vita del suo detentore ha scatenato negli Stati Uniti la corsa alla class action. E non solo contro la grande mela di Cupertino: anche Android - ovvero il sistema operativo in voga in milioni di cellulari - e Google sono nel mirino dei consumatori. E questo perché i dispositivi mobili - che siano iPhone, iPad o smartphone dei concorrenti - raccolgono informazioni dettagliate su tutti gli spostamenti del proprietario e gestiscono dunque anche la localizzazione e gli spostamenti dei dispositivi conservandoli nei propri database. Si chiedono i querelanti: che fine fanno quei dati?
Google rassicura («la raccolta di dati è limitata e comunque necessaria per offrire servizi di localizzazione migliori»), ma gli altri ancora tacciono, alimentando così le paure di chi ha qualcosa da nascondere nella vita. Perché questo è il problema: c’è anche a chi questo non dà fastidio per nulla, ma gli altri... In pratica: inutile ricordare come la nostra vita sia diventata davvero molto più trasparente grazie all’inevitabile progresso. Basta passare per strada sotto una delle milioni di telecamere sparse per il globo, oppure fare un bancomat o anche collegarsi da un computer a internet, per avere la certezza di offrirsi agli sguardi indiscreti del prossimo. E a questo punto, noi uomini del terzo millennio, dobbiamo fare una scelta: o ci godiamo l’ultimo telefonino uscito sul mercato ricco di mappe e applicazioni, col rischio di essere inchiodate alle nostre responsabilità dal primo autovelox sulla strada (se ci va bene), o ci chiudiamo in un eremo. Altre possibilità non ce ne sono.

Anche perché, in fondo, forse le cose non sono così negative come sembrano: anche l’imperatore dell tecnologia, ovvero Steve Jobs, ha rassicurato tutti entrando all’improvviso in un forum su internet. «Non è vero che controlliamo i nostri clienti» ha scritto seccamente. Dimenticandosi però che proprio il fatto di essere lì ha confermato l’esatto contrario: lui, insomma, ci guarda. Chiunque esso sia.

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