E ora non lasciamo morire la democrazia pakistana

Una strage annunciata. Benazir Bhutto era stata condannata a morte da Ayman al Zawahiri, lo stratega di Al Qaida, insieme ai dirigenti sunniti dell'Irak che collaborano con il governo democratico, ai politici libanesi che vogliono disarmare le milizie fondamentaliste, ai dirigenti palestinesi che rifiutano la dittatura di Hamas. Ma attenzione: Benazir è stata assassinata a pochi giorni dalle elezioni non per il suo passato socialista e laico ma perché si avviava a vincere dopo avere aperto un dialogo con l'islam non fondamentalista. Nell'ultima intervista rilasciata prima di morire Benazir proclamava la sua fede islamica, su cui annunciava un prossimo libro dove avrebbe proposto un'alternativa al fondamentalismo, esprimendo perfino apprezzamento per Benedetto XVI e per il suo appello a un islam che sappia riannodare le fila di un dialogo fra fede e ragione. Non è neppure troppo importante se fosse sincera o se l'apertura alla religione le fosse stata suggerita da abili consiglieri, pakistani o statunitensi. In politica contano i programmi pubblici, non i dubbi privati. E su un programma che coniugava modernità, alleanza con l'Occidente e identità islamica la Bhutto stava raccogliendo i consensi della maggioranza dei pakistani.
Che cosa succederà, ora, in Pakistan? Come reagirà l'Occidente? La tentazione è quella di annunciare brutalmente ai pakistani che il loro sogno di democrazia è finito, e che per contrastare i terroristi occorre tornare a una dittatura militare, non importa se incarnata da Musharraf o da qualcun altro. È una posizione che non è completamente irragionevole, che ha sostenitori all'interno dell'amministrazione Bush e in due partner economico-politici di cui il Pakistan non può fare a meno, la Cina e la Russia. Ma è una posizione sbagliata. Non solo - secondo l'intuizione fondamentale di Condi Rice, che rimane valida - le dittature creano terrorismo, ma in Pakistan i dittatori hanno sempre trattato sottobanco con i terroristi. Il ritorno alla dittatura militare non fa paura ai terroristi, anzi è quello che vogliono. E non devono averla vinta.
Dal Libano all'Irak al Pakistan il terrorismo colpisce perché non sta vincendo, ma perdendo. Sul terreno militare principale, l'Irak, ha subito durissimi colpi. Ma anche altrove - in Libano, in Algeria, nello stesso Pakistan - la gente ne ha abbastanza delle bombe, e la popolarità degli ultra-fondamentalisti è ai minimi storici.

Resistendo alla tentazione di appoggiare un golpe, l'Occidente deve insistere perché in Pakistan si voti, magari perché dopo le elezioni nasca un governo di grande coalizione che metta insieme gli eredi di Benazir, le due anime della storica Lega Islamica che fanno capo a Musharraf e a Sharif (depurate dai corrotti e da chi traffica con i terroristi) e anche quella parte dell'islam politico che ripudia senza condizioni la violenza. Benazir è morta, ma la democrazia nel mondo islamico non può e non deve morire.

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