E pensare che sognavano un Ulivo mondiale

Egregio dottor Granzotto, in questi giorni si sentono spessissimo (purtroppo) due cognomi di personaggi tempo fa molto in contatto: Clinton family e Veltroni il clintoniano. Sembrava avessero risolto i problemi dell’Occidente (crescita economica e sviluppo democratico, pace arcobaleno nel mondo, integrazione razziale, sessuale, religiosa) con la nascita dell’Ulivo mondiale (o planetario non ricordo bene). Poi il nulla. Lei ricorda quando accadeva e perché tutto si è dissolto come arcobaleno dopo la tempesta?


L’Ulivo Mondiale. Che risate! Ricordandocelo, lei ha fatto un’opera buona caro Gandolfi. Con Marini che ci deprime col suo intestardirsi a cercar «spiragli» (alias voltagabbana) nei sottoscala della politica, un po’ di buonumore ci voleva davvero. Quando fu? Nel ’98, mi pare di ricordare, che Veltroni buttò là che l’Ulivo («pianta mediterranea, molto radicata, con radici complesse e tronco contorto, risposta alla nuova sfida che la profonda crisi politica pone al sistema». Prodi dixit) avrebbe conquistato il mercato della politica mondiale, con la conseguenza inevitabile di una ulivizzazione del pianeta. Con la società civile e la stampa di regime gioiosamente tramortita dalla rivelazione, Prodi, che di quella meraviglia dell’Ulivo si riteneva a giusto titolo l’inventore e il piazzista, s’affrettò ad annunciare Urbi et Orbi che in veste di messia avrebbe personalmente «esportato» l’articolo nei quattro angoli del globo. A sentir lui un cento, centocinquanta Paesi s’erano già messi in lista d’attesa per farsi ulivizzare e, come i Re di Francia, al tocco guarivano gli scrofolosi, lui, sempre al tocco, li avrebbe ulivizzati. Uno per uno. Fu un momento di psicosi collettiva e di risveglio patriottico della sinistra: il Made in Italy aveva portato a casa il suo risultato più grosso dettando le regole politiche del terzo millennio. Un colpo da maestro e il maestro era lui, Romano Prodi da Scandiano (Reggio Emilia).
A quel punto serviva solo un’occasione per dar corpo, in maniera solenne, all’ulivizzazione del pianeta e questa venne fornita da uno dei tanti seminari indetti dalla New York University che quella sagoma di Prodi, con la grancassa della stampa compiacente, fece passare per un’iniziativa diretta di Bill Clinton, allora presidente degli Stati Uniti. Per dirla come andò, Prodi diede a intendere che Clinton l’aveva invitato a New York perché vi tenesse quella lectio magistralis sull’ulivismo che avrebbe dato il via all’ulivizzazione dell’America. Solo che il giorno venuto il testa quadra si trovò a strologare sull’Ulivo Globale in un’aula magna pressoché deserta essendo l’intera nazione incollata alla tivvù per seguire le tutt’altro che spontanee dichiarazioni di Bill Clinton circa un servizietto fornitogli, nello studio ovale della Casa Bianca, da miss Monica Lewinsky. Fronte alla stagista porcacciona, Prodi sparì. E con lui l’Ulivo Mondiale del quale nessuno parlò più, nemmeno in patria.

O meglio, ne parlò solo quel saltafossi di Massimo D’Alema per liquidarlo come «un’idea provinciale». Che per una roba che avrebbe dovuto dominare il mondo per un millennio e che non ha retto dieci anni nell’Italiuzza, è già un complimento.

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