E quello che invece devono fare

Curioso. In Italia, fra novità e ristampe, ogni anno vengono pubblicati circa 60mila titoli. Di cui 12mila di narrativa. Eppure, paradosso dell’invenzione letteraria, tre fra i romanzi italiani più apprezzati dalla stampa in queste settimane - Mr Gwyn di Alessandro Baricco (Feltrinelli), Baci a colazione di Gaetano Cappelli (Marsilio) e Chi scrive muore di Massimiliano Governi (Bompiani) - hanno al centro uno scrittore che ha smesso di scrivere, o non riesce più a farlo. Tre libri che forniscono riflessioni interessanti sulle ragioni per le quali si deve (o no) scrivere. Come questo dialogo fra una scrittrice e un giornalista tratto da Chi scrive muore (una buona ragione per smettere, peraltro): «Stai scrivendo?». «Ho smesso per sempre. La scrittura è un coltello a due lame, ma senza manico. Ti tagli comunque lo impugni». «È meglio lasciare il coltello nel cassetto...». «Giusto. Ma sai una cosa? Ho l’impressione che il coltello si muova di vita propria, e questo mi terrorizza». «Anche a me le parole, i personaggi, le storie, non mi lasciano dormire».
Le storie non mi lasciano dormire... Che è forse il primo, vero, tautologico motivo per il quale si scrive: perché non si può non farlo. Quando senti che qualcosa o qualcuno te lo impone. È l’urgenza, antropologica e connaturata all’essere umano, di «raccontare storie». Poi, certo, si può discutere se realmente si tratti di buone storie: necessarie, originali, universali...
Per il resto, altre possibili risposte a questa terribile domanda le concede Zadie Smith - madre giamaicana, padre inglese e successo mondiale - nel suo Perché scrivere (minimum fax), un libretto che raccoglie due testi, una conferenza tenuta il giugno scorso a Firenze e un articolo pubblicato sul Guardian nel 2007, sul ruolo dello scrittore e della letteratura nella società contemporanea. E Zadie Smith azzarda alcune motivazioni: si scrive «per il desiderio di vedere le cose come stanno», «per esprimere la realtà delle capacità umane, senza le quali non ci può essere arte né politica», e si scrive anche - citando George Orwell - per «puro egoismo».

Ma soprattutto, ed è una delle ragioni più belle, per vincere le perdite di senso e di stile, etiche ed estetiche: «Scrivo - dice Zadie Smith - per costruire questa frase: per renderla più bella che posso, questa qui e anche la successiva. È un antidoto all’inutilità».

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