(...) lui sì che se ne intendeva. Piazza De Ferrari, però, la conoscevo bene: la fontana era la mia preferita. E sentir dire a mio papà, con la faccia preoccupata, che lì si picchiavano, sentir pronunciare le parole «guerra civile», che non potevo capire, mi aveva fatto venire i brividi. Mai però come vedere l'espressione di mia mamma, subito mitigata da rassicurazioni generiche: «Ma no, non ti preoccupare, non è successo niente di grave». E i discorsi si riallacciavano con i vicini di casa, non si parlava daltro.
Io ho avuto paura: ma allora papà tornerà in guerra? Le domande erano lì, davanti a un mondo tutto mio che non poteva crollare. La mia amica del cuore Paola non aveva risposte per me. Anche lei era turbata, mentre continuavamo a preparare un dessert a base di sassolini.
E poi mio fratello Mauro, più grande di me di tre anni, in quei giorni non cera. Chi mi poteva rassicurare sul fatto che non sarebbe successo niente di grave e tutto sarebbe stato come prima? Poi, per fortuna, proprio perché avevo sette anni, la nuvola è passata, dimenticata. Riprendendo il discorso oggi, dopo cinquantanni, mio fratello mi ha spiegato che lui allora era a Monte Leco, luogo storico dell'Azione cattolica genovese, versante alessandrino del passo della Bocchetta. «Sai - mi ha raccontato - un giorno è arrivato don Ga (Don Gaspare Canepa, figura indimenticabile per i giovani di quegli anni e non solo, ndr) e ci ha detto che a Genova stavano succedendo cose terribili.
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