Ecco le emergenze da affrontare per arrestare il declino

Parliamo del futuro possibile, lasciando ai cronisti di informarci sugli sviluppi della campagna elettorale iniziata con troppi «se» e «ma», ma almeno con una certezza: si confrontano due grandi partiti (certo spiace che scompaiano culture politiche tradizionali, alcune gloriose), il che fa sperare che la politica italiana vada verso chiarezza e rinnovamento.
Un futuro possibile, cioè, quel che speriamo e vorremmo che fosse. Noi - lo ripetiamo per lealtà verso il lettore - siamo collocati sulla sponda liberale del centrodestra, e però, chiunque vinca, ci piacerebbe che governasse, prescindendo dalle ideologie, per far ritrovare all’Italia la via della crescita interrotta.
Bisogna cominciare dalla scuola. È da qui che è partito il declino del Paese. Il nostro sistema di formazione è tra i più inadeguati del mondo occidentale. Da 40 anni siamo andati perdendo quell’eccellenza di studi che avevamo. È decaduta soprattutto la scuola secondaria, che non prepara né al contatto col mondo del lavoro né a un ingresso proficuo all’università. Molti diplomati si presentano agli atenei addirittura senza una buona padronanza lessicale, sicché si rendono necessari corsi propedeutici. L’università italiana, a sua volta, va precipitando verso gli ultimi posti nelle classifiche mondiali. Nei settori della scienza e della ricerca ci sono inefficienze preoccupanti.
L’Italia ha bisogno di potenziare le proprie infrastrutture: strade, ferrovie, sistema energetico, strumenti per lo smaltimento dei rifiuti, in alcuni di questi settori c’è un invecchiamento che provoca grave perdita di efficienza. È urgente un rilancio della competitività dell’intero sistema nazionale, che ha bisogno di una generale modernizzazione. Va ripensato, in questo quadro, razionalmente il rifiuto dell’opzione nucleare sancito col referendum del 1987. Oggi importiamo a caro prezzo energia nucleare dall’estero e va considerato consapevolmente che i nuovi impianti per la fissione atomica garantiscono salute e ambiente. Occorrono grandi investimenti, non dimenticando che il «miracolo» italiano fu reso possibile da gagliardi investimenti fatti nell’Italia disastrata dell’immediato dopoguerra (ricordiamo le iniziative di Corbellini per le ferrovie, di Romita per le autostrade), che trovarono concordi maggioranza e opposizione (lo stesso Togliatti li incoraggiò), che pure allora erano assai divise ideologicamente.
La politica delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni va riaffermata, disincentivando invece la ripubblicizzazione in atto presso molte aziende nelle mani di enti locali. Vanno liberalizzati anche alcuni settori professionali, sì da garantire l’accesso alle nuove generazioni e quindi una più aperta selezione.
Non può mancare una politica sociale, che non è prerogativa assoluta della sinistra. I maggiori progressi sociali si sono avuti grazie a una politica liberale nei Paesi occidentali. Dove sono nati i sindacati e il welfare state, se non dove, già nell’800, vigeva il sistema liberaldemocratico?
Non c’è dubbio che va affrontato il grave problema dell’impoverimento del ceto medio, dei salari fra i più bassi d’Europa, dei pensionati, del diminuito potere d’acquisto, in sostanza, della famiglie, di una autentica povertà, che, secondo dati di Bankitalia, affligge il 15,8% della popolazione. Berlusconi non si faccia strappare da Veltroni questo tema fondamentale.
Per affrontare questo vero tracollo sociale si può cominciare attuando sgravi fiscali nel quadro di una politica dei redditi che veda l’impegno delle imprese, interessate peraltro giustamente a un aumento della produttività e della crescita.
In Italia è stato ampiamente superato il punto critico del carico fiscale, e ha provocato effetti dannosi a tutto il sistema economico: minore propensione alle attività produttive, minore risparmio, maggiore inclinazione all’evasione fiscale. Il carico dev’essere ridotto sotto il 40% del prodotto lordo interno, per arrivare al -35%, con la prospettiva ideale della cosiddetta «flat tax rate», cioè una tassa sopportabile per tutti. La riduzione agevolerà la crescita dimensionale delle imprese, l’innovazione, gli investimenti, la nascita di nuove aziende con conseguente aumento dell’occupazione e benessere. In questa visione una detassazione degli utili reinvestiti sarebbe salutare.
Non è certo tutto quello di cui c’è bisogno per bloccare il declino: ci sono i problemi della giustizia, della sanità, delle istituzioni da affrontare con coraggio e lungimiranza. Ne parleremo. Fatte le elezioni si formi subito un governo con le migliori intelligenze e competenze del Paese.

E avanti tutta.

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