Dicono che il prossimo congresso provinciale di An sarà un po’ agitato... Anche lei si sente agitato, Gianfranco Gadolla?
Il candidato numero uno al vertice locale del partito di Gianfranco Fini non si scompone, e butta laghi d’acqua sul fuoco: «Un momento, precisiamo. Il confronto fra tesi contrapposte è sano, costruttivo, importante per qualsiasi gruppo organizzato. Tanto più da noi, dove il dibattito, per vari motivi che vanno al di là delle singole persone, è rimasto alquanto defilato. Per quanto mi riguarda, poi, non mi sento affatto agitato».
Scopra le carte: lei si candida alla successione di Alfio Barbagallo, l’attuale presidente provinciale.
«Nessun mistero o manovra dietro le quinte. Credo di poter contare su una solida esperienza di partito, cui sono iscritto fin dalla fondazione, e su una squadra di amici che condivide le mie idee e i miei programmi. Tutto qui».
Ma per vincere ci vogliono i numeri.
«Allora spieghiamo meglio. Come tutti gli altri congressi locali che precedono l’assise nazionale di An, voluta da Fini per dare un’effettiva sterzata al partito, anche il nostro congresso, in programma il 4 marzo, è stato condiviso ai vari livelli come occasione ed espressione di ricambio, di rinnovamento. Non solo degli organi dirigenti, ma anche, com’è logico, della politica».
I numeri, i numeri...
«Ecco fatto. I partecipanti saranno circa 1200, ratificati direttamente dalla sede nazionale che ha verificato l’elenco inviato da Genova. Anche per questo, non potrà nascere nessun malinteso sul conteggio dei delegati. I dati sugli iscritti sono ufficiali. E alla fine si vota».
Quanti sono quelli che stanno con Gadolla?
«Troppo presto per dirlo. Il congresso è convocato per discutere e contarci, non per prendere atto di posizioni pregiudiziali in lotta».
Non è un mistero che Barbagallo stia dall’altra parte.
«Premessa: noi siamo tutti in Alleanza nazionale e sono convinto che lavoriamo e lavoreremo tutti insieme per portare avanti le tesi di Alleanza nazionale. Su come interpretare queste tesi, mi sembra giusto che ci siano posizioni diverse. Ma in ogni caso, sia chiaro, la voglia di ricambio che esiste nel partito non è rivolta a colpire o sconfessare qualcuno».
Ma perché i delegati dovrebbero votare lei?
«Non faccio manifesti elettorali, ma posso mettere sul tavolo la mia provenienza dal mondo liberale, la mia esperienza istituzionale come capogruppo in Regione, i miei progetti in campo politico e amministrativo».
Scendiamo nei particolari. Prima di tutto, il partito.
«Parlare dell’organizzazione del partito non è disgiunto dal discutere del suo ruolo nella società. E allora dico che, io e altri, vorremmo correggere quella sorta di anomalia interna che c’è stata finora, cioè il fatto che il presidente provinciale scelga il direttivo a propria discrezione. Da ora in poi, ai sensi del nuovo statuto, almeno il 50 per cento del direttivo sarà eletto dalla base. Chi diventa presidente, quindi, ha il consenso vero».
Una rivoluzione.
«...che però non si ferma qua, ma ha risvolti diretti all’esterno. Alleanza nazionale è rimasta distaccata dalle categorie produttive, professionisti, piccoli e medi imprenditori, artigiani, commercianti. È mancata una penetrazione convinta e potente nei confronti di questa parte di società».
Gadolla, se eletto, si muoverà in questo modo.
«Certamente. Ribadisco: non voglio fare processi a nessuno, siamo stati molto all’opposizione, non era facile passare dalla volontà all’operatività».
Non sarà facile neanche adesso.
«Appunto, ne sono consapevole. Chiunque diventi presidente provinciale deve ammettere fin d’ora che il compito di rinnovare con successo l’approccio con l’esterno sarà impresa ardua, molto ardua. Ci vorrà, contemporaneamente, mediazione e decisionismo. Ma è anche vero che a Genova in particolare c’è grande voglia di destra, di libertà, di impresa, di sviluppo, di sburocratizzazione. Dobbiamo saperla interpretare».
Pare un manifesto elettorale anche per le amministrative. Non è che potevate risparmiarvela, questa assise congressuale, rinviandola al dopo-elezioni?
«Niente affatto. Sarebbe slittata a tempo indeterminato, e avremmo rimandato soprattutto il chiarimento e la proposta nei confronti dei cittadini. Meglio discutere adesso».
I rischi ci sono.
«Ma anche le prospettive. Mi piace pensare a un’organizzazione decentrata, a un partito che lascia ampia autonomia alle sedi locali, alle persone che devono essere responsabilizzate anche per quanto riguarda le alleanze. Insomma: via libera al pilota automatico, riservandosi di intervenire se ci sono contrasti seri e la “macchina“ non ce la fa a procedere con coerenza».
A cominciare da subito.
«Senza dubbio.
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