Meraviglie della globalizzazione. A mettere le mani sul campionato di calcio italiano non erano solo campioni in disarmo e brocchi senza speranza, bagnini di Cervia e odontoiatri marchigiani, insomma tutta la variopinta compagnia di giro che sei mesi fa venne portata alla luce dall’inchiesta della procura di Cremona. Ieri mattina scatta la seconda ondata dell’indagine sulle partite truccate. L’onda travolge definitivamente Cristiano Doni, bomber dell’Atalanta, che finisce a fare il Natale in carcere. Ma soprattutto l’inchiesta-bis svela che a truccare le partite italiane era un network planetario o giù di lì, guidato da un signore di Singapore, gestito da croati e da tagliagole di mezzo mondo. Gente cattiva e pronta ad uccidere, racconta l’ordine di cattura per 17 persone firmato dal giudice Guido Salvini. Ma - più e prima che ad uccidere - gente pronta a pagare, bene e in contanti: le carte dell’indagine pullulano di racconti di fasci di banconote sventolati sotto il naso di corrieri dell’organizzazione che sbarcavano a Malpensa con chili di biglietti di banca in valigia. Davanti alla munificità dell’Associazione - come si autodefinisce il network - tra i calciatori, allenatori e dirigenti italiani, molti non si sono fatti pregare.
C’è chi ha detto no: ed è un calciatore qualunque, uno sconosciuto al pubblico, uno che col calcio non si arricchirà mai. Si chiama Simone Farina, gioca nel Gubbio allenato da Gigi Simoni: e quando, a settembre, gli hanno offerto 200mila euro per vendersi la partita di Coppa Italia col Cesena, è andato dritto filato a raccontare tutto all’Ufficio Inchieste. Il suo racconto è andato a incrociarsi con il lavoro che le Squadre Mobili di Cremona e Bologna stavano continuando a fare insieme allo Sco e all’Interpol, dopo la retata di giugno. E si è scoperto che, retata o non retata, gli uomini di Eng Tan Seet - questo il nome del Goldfinger di Singapore che tira i fili del network, e che all’Hilton della Malpensa scendeva in ciabatte e pagava sempre in contanti - erano andati avanti tranquillamente per la loro strada, comprando calciatori in tutto il mondo (e, dettaglio curioso, arbitri ungheresi che si vendevano i match internazionali da loro diretti).
Per un Simone Farina che dice no, ci sono i tanti che hanno detto di sì. Come Beppe Signori, che era stato arrestato a giugno e si è sempre proclamato innocente, e che esce assai malconcio dall’ordinanza di ieri. O come Cristiano Doni, già sospeso per tre anni dalla giustizia sportiva, e che ieri finisce in cella grazie ai nuovi sviluppi ( «gli indizi si sono enormemente concretizzati», spiega il procuratore Roberto Di Martino) e grazie soprattutto alla sua stessa dabbenaggine, a un goffo tentativo di inquinare le prove cercando di azzittire a botte di soldi il suo amico Renato Santoni, preparatore atletico del Ravenna, o di organizzare insieme a lui la maldestra manipolazione a distanza di un Iphone sequestrato dalla polizia. E in cella finisce anche Carlo Gervasoni del Mantova, anche lui già sospeso dalla Federcalcio, che agli emissari di Eng si era venduto i piedi e l’anima: ma che poi una domenica contro il Brescia non resiste al suo istinto di difensore, e fa un salvataggio sulla linea che manda a ramengo i piani del clan, dice uno della gang nelle telefonate intercettate. Insieme a Gervasoni finiscono sotto tiro altri ignoti manovali del pallone: un difensore dello Spezia, un portiere del Grosseto, un terzino del Modena. Tutta gente che del grande calcio e dei suoi milioni ha sentito solo l’odore.
Il comunicato della Procura indica tre partite di serie A «aggiustate» dalla Associazione di Eng: Brescia-Bari, Brescia-Lecce e Napoli-Sampdoria. Ma in realtà dalla lettura delle carte ne emerge con chiarezza una quarta, ed è Lecce-Lazio del 22 maggio, con gli emissari croati di Eng che (come pare facessero abbastanza spesso) vanno a prendersi una stanza nello stesso albergo del Lecce per agganciare i giocatori, e la partita finisce con un 2-4 che, nel gergo delle scommesse, è il più classico e redditizio «Over tre e mezzo». Ma ancora più inquietanti sono i racconti dei due «pentiti» che hanno contribuito all’inchiesta: un croato detenuto in Germania e soprattutto un tizio di Singapore detenuto in Finlandia, Wilson Ray Perumal, che tra le tante cose ha raccontato come nelle linee guida dell’Associazione ci fosse anche quella di comprare direttamente società qui e là per il mondo, metodo più comodo e sbrigativo che corrompere ogni volta i singoli giocatori.
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