Ecco il nuovo «Miracolo» a Milano

Milano è un laboratorio, anzi è città emblematica per capire il futuro del nostro Paese. Lo ha sostenuto il sociologo Aldo Bonomi, in un dibattito che si è tenuto ieri, durante l’ultima giornata del «Festivaletteratura» di Mantova, kermesse letteraria che la scorsa settimana, per il dodicesimo anno consecutivo, ha radunato, nella città dei Gonzaga, scrittori, musicisti e intellettuali in incontri aperti al pubblico. Aldo Bonomi, classe 1950, natali a Sondrio, direttore dell’Istituto di ricerca Aaster e autore di numerosi saggi sui mutamenti della contemporaneità, ha tracciato un’originale fotografia della città, partendo dall’analisi descritta nel suo recente saggio «Milano ai tempi delle moltitudini», edito da Bruno Mondadori.
Professor Bonomi, nel volume Lei descrive i cambiamenti nel nostro Paese prendendo Milano a modello. Perché?
«Milano è una «città-porta» per capire come si muove il sistema Paese negli anni della globalizzazione. Per descriverla al meglio ho usato la metafora dei cinque cerchi»
Cominciamo dal primo, quello delle élite, situato nel centro città
«La borghesia milanese è cambiata: è finito un ciclo, quello dei Falck e dei Pirelli. La nuova borghesia non lavora più nell’industria pesante: è la borghesia dei flussi, della finanza, del marketing e della comunicazione. Quartier generale a Milano, ma la testa è nel mondo. Con quel che consegue»
Ovvero?
«Non è ben radicata nella città, dovrebbe e potrebbe fare di più: è necessario un nuovo patto sociale tra questa borghesia e Milano»
Veniamo al secondo cerchio, quello del commercio, presente nella cerchia dei bastioni
«La coesistenza di centri commerciali, grande distribuzione, negozi etnici e negozi esperienziali ha mutato il modo di comprare a Milano. Con questo è cambiato anche il tessuto sociale di molti quartieri. Paolo Sarpi è solo l’estremizzazione di queste contraddizioni»
Che cosa intende per negozi esperienziali?
«Realtà come via della Spiga ad uso e consumo di chi fa shopping, italiano o straniero che sia: lì non si vende solo il prodotto, ma il fatto di acquistarlo in quel quartiere»
Il terzo cerchio è quello della vecchia classe operaia: esiste ancora?
«Esiste eccome, ma è quella dei cosiddetti «proletaroidi», impiegati nell’economia dei servizi e nell’edilizia che abitano fuori dai bastioni. C’è poi un altro cerchio, quello della città invisibile, fatto di gente come gli addetti delle pulizie, spesso immigrati, che popolano il centro quando noi chiudiamo l’ufficio. Poi, molto più esterno, esiste un grande cerchio che da Cologno Monzese e Mediaset, passa per Iulm, Bicocca, Triennale Bovisa e zona Tortona: è il cerchio della creatività, dell’intrattenimento e della moda»
I cerchi non s’intersecano mai?
«Ogni cerchio è troppo auto referenziale, cerca solo per sé spazi e possibilità. Per crescere, invece, Milano deve farsi più società e capire che la sua nuova identità non sta nel singolo, ma nelle relazioni fra singoli»
Lo dice pensando all’Expo 2015?
«L’Expo può essere un’opportunità. Si deve fare leva non sui particolarismi, ma su speranze ed energie di ogni segmento della società.

La metropoli muta velocemente»
Che cosa sarà della caparbia tradizione meneghina?
«Dovremo imparare a includerla in questo nuovo corso. Milano sta solo anticipando, come già fece nel Dopoguerra, i profondi cambiamenti sociali cui andrà incontro l’Italia in futuro»
E allora un altro «Miracolo a Milano» sarà possibile.

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