Gli americani spingono con insistenza per un maggiore coinvolgimento dell'Italia nel conflitto in Libia, non solo per passare il cerino politico agli europei. L'obiettivo finale è piegare il colonnello Gheddafi e far sbarcare una forza di interposizione in Libia, con ampia partecipazione italiana. Lo hanno prefigurato, ieri, fra la righe, il presidente francese Nicolas Sarkozy e il premier Silvio Berlusconi nel comunicato congiunto in cui si parla della «pianificazione in corso dell'operazione Eufor Libia da parte dello Stato maggiore di Roma». Un modello stile ex Jugoslavia, dove il contingente occidentale è arrivato dopo l'offensiva aerea e si chiamava, guarda caso, Ifor in Bosnia e Kfor in Kosovo.
Per raggiungere l'obiettivo Washington punta sulla nostra rete di contatti, amici, informatori, ufficiali libici che hanno avuto scambi con l'Italia. Una rete capace di dare la dritta giusta per individuare un bersaglio o far cambiare qualcosa all'interno del regime del colonnello Gheddafi. Si calcola che il 30% dei funzionari dell'apparato statale in Libia parli italiano.
Ieri sul quotidiano La Stampa una fonte alleata a Bruxelles spiegava: «L'Italia (...) ha le potenzialità che mancano ad altri per identificare cosa colpire».
La differenza vera è la Humint (human intelligence), ovvero la rete creata sul campo nel corso degli anni. Lo confermano al Giornale fonti riservate e lo spiega Mario Arpino, ex capo di Stato maggiore della Difesa. «Il maggior coinvolgimento italiano potrebbe avere un effetto psicologico sullo stesso Gheddafi - osserva l'ex generale -. Può benissimo essere che uno dei nostri assetti appetibili per gli americani sia una presunta rete di intelligence sul terreno in relazione alla familiarità con i libici e alla conoscenza del territorio».
L'Italia ha un rinomato centro di ascolto rivolto verso la Libia. I nostri rapporti storici, nel bene o nel male, e la presenza di colossi aziendali italiani hanno favorito nel tempo il consolidamento della "rete". Non solo: negli ultimi anni c'è stato uno scambio di visite di ufficiali libici e italiani.
La rete ha cominciato a venir tesa all'inizio degli anni Settanta, quando Gheddafi ha sbattuto fuori 25mila connazionali e numerosi libici che hanno mantenuto legami con famiglie e tribù nel loro Paese. Non solo: ancora oggi esiste in Tripolitania un considerevole numero di libici con cittadinanza italiana o affinità con Roma, serbatoio perfetto della human intelligence.
Oltre al lavorio della "rete" il governo si è impegnato a bombardare, come gli alleati, bersagli diversi dai radar nel mirino dei caccia dal 17 marzo. Fino alla scorsa settimana abbiamo compiuto 180 missioni. Sessantasei hanno coinvolto gli Eurofighter e gli F 16 in operazioni di scorta e sorveglianza. Il resto è stato suddiviso fra i Tornado Ecr (67 missioni) e gli Av 8 della Marina capaci di attacchi al suolo. Ufficialmente non abbiamo sganciato un solo missile, ma sembra che all'inizio dell'offensiva aerea sia stato centrato qualche radar libico con gli Harm. Adesso ci siamo impegnati a colpire anche altri obiettivi, come carri armati, caserme, arsenali.
Forse il vero motivo è che la guerra in Libia si sta impantanando, come hanno ammesso gli stessi americani. I piani per un intervento terrestre sono in lavorazione, magari con uno sbarco a Misurata camuffato da intervento umanitario. Ieri il comunicato congiunto italo-francese sosteneva: «Per far fronte all'aggravamento della crisi umanitaria causata dal regime libico» Roma e Parigi «sono pronte a mobilitare mezzi umani e materiali nel quadro dell'operazione (...) Eufor Libia»". Fonti Nato rivelano al Giornale l'intenzione di sbarcare entro l'anno con una forza di interposizione, senza americani, accettata dalle parti, anche se a denti stretti.
Per non trasformare l'intervento terrestre in un secondo Irak si spera che l'accentuata offensiva aerea e forse un colpo di mano interno, o dal cielo, serva a piegare il Colonnello.www.faustobiloslavo.eu
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