Ecco «por qué» Guardiola ha seppellito il mourinhismo

di Franco Ordine

Por qué il Barça? Perché è la squadra che sforna calcio d’altissima qualità, a velocità sostenuta, senza curarsi di qualche assenza eccellente, utilizzando Mascherano difensore centrale senza alterare né lo spirito del gruppo né lo spartito calcistico. Perché è la squadra per la quale non valgono i requisiti fisici e atletici reclamati per cento altri team, in cui c’è bisogno di gendarmi alti 1,90 al fine di competere nei duelli in quota, ma che può benissimo giocare, palla al piede, con scambi rapidi e ripetuti, frutto di esercitazioni quotidiane basate sulla precisione dei passaggi e sulla conoscenza dei movimenti dei propri sodali.
Por qué Guardiola? Perché un giorno racconteremo ai nipotini dinanzi a qualche strumento tecnologico infernale che nei migliori anni della nostra vita, abbiamo incrociato i nostri occhi con una persona garbata e prudente, educata e spensierata, mai guascone, che da solo ha capito d’aver fatto il proprio tempo a Barcellona dopo aver costruito un congegno calcistico di mostruosa precisione, seminando successi in sequenza strabiliante. Non solo ma proveremo a raccontare che in una finale così attesa e così sospirata, dinanzi al gol del Manchester, maturato da fuorigioco, neanche un sospiro uscì dal quel ragazzo compito, vestito come un modello Armani, nemmeno un gesto, un lamento, men che meno una protesta plateale.
Por qué Messi? Perché la famosa «pulce», in aperta e dichiarata concorrenza con la leggenda del suo paese, Maradona, non ha mai avuto il timore di sfidare i corazzieri di Manchester, Vidic e Rio Ferdinad, scardinando la difesa arcigna, provando e riprovando il ricamo del dribbling e del palleggio per avere la meglio, all’improvviso, su una stilettata da fuori area che non appartiene al suo repertorio classico. Perché quel fuoriclasse con la faccia da bambino, che sembra impossibile da stendere quando parte palla attaccata al piede, è riuscito ad esaltare una squadra quasi perfetta in ogni ruolo che non ha bisogno di Ibrahimovic per imporsi in Europa e può ricorrere a un ragazzino, Pedro, arrivato dalla provincia per rinforzare il Barça B.
Por qué Abidal? Perché quando si vince, stregando i rivali oltre che gli spettatori di mezzo mondo, bisogna allestire una scenografia degna del grande evento, rendendolo memorabile. Così questa finale sarà anche la finale struggente di Abidal, chiamato dalla squadra e dal club a fregiarsi della fascia di capitano un attimo prima della premiazione in modo da avere l’onore altissimo di sollevare la coppa dalle grandi orecchie sotto gli occhi del maestoso Wembley. Due anni prima, nelle viscere dell’Olimpico, Pep Guardiola ebbe l’idea di dedicare il trionfo fresco a Paolo Maldini, appena uscito da San Siro dopo una carriera unica. Uno così, come Pep, che invita a Roma Carlo Mazzone, suo precettore, e richiama a Londra Roberto Baggio, suo sodale nel Brescia, meriterebbe solo per questo un encomio solenne.


Por qué Unicef? Perché non c’è più traccia del veleno finito nel pozzo dopo le semifinali col Real di Mourinho? Perché quando si gioca al calcio così, anche la mongolfiera di Mourinho, alimentata da gas fuorilegge, finisce per afflosciarsi. Malinconicamente.

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