Alessandro M. Caprettini
nostro inviato a Bruxelles
Gianfranco Fini invita a «volare alto», Marcello Pera preferirebbe invece la navigazione a vista. Ma al di là del metodo non si può parlare di discrasie stridenti nelle ricette apparecchiate ieri dal ministro degli Esteri e dal presidente del Senato per tentare di rimettere in moto il convoglio Ue, impantanatosi tra i no alle Costituzione e le liti sul budget. Entrambi infatti hanno premuto a lungo il tasto della «identità» europea da cui ripartire e ambedue hanno identificato nella politica estera, di difesa e dellimmigrazione gli snodi da affrontare di petto se davvero si vuole evitare il rischio che la crisi si avviti e precipiti con conseguenze drammatiche.
Convogliati nella capitale europea da uniniziativa congiunta dellIstituto culturale italiano a Bruxelles e della fondazione Magna Carta per discutere il «che fare» dopo i bruschi stop, Pera e Fini si sono semmai divisi nel giudizio sul passato. «Inevitabile e giusto - per il ministro degli Esteri - lallargamento ad Est», come corretta è lapertura alla Turchia per il presidente del Senato, che invita a questo punto a non far finta di niente dopo il doppio «no» francese e olandese non tanto alla Costituzione, ma a una Ue imposta dallalto che i cittadini del continente ritengono lontana dai loro interessi e incapace di affrancarsi dalla morsa dei burocrati.
Se Fini indossa i panni delleuroentusiasta invitando i 25 a lasciar perdere i terreni dei «confronti facili» per impegnarsi invece «in sfide autentiche», Pera non ha paura di citare leuroscetticismo come antidoto alle fughe in avanti. «LEuropa che vorrei? Forte e leggera», rivela. Manifestando lidea che si creino nuclei ristretti di intervento su terreni decisivi come appunto la politica estera, quella di difesa, quella sullimmigrazione. Lasciando invece agli Stati nazionali le altre decisioni, tagliando le unghie ai tecnocrati e facendo piazza pulita dei tanti regolamenti a volte astrusi che piovono sulle teste degli europei.
Per entrambi comunque il punto di partenza per la rianimazione del malato Ue - specie ora che le politiche dintegrazione hanno mostrato i loro evidenti limiti - non può che essere la riscoperta dellidentità. Che non può non essere quella delle radici cristiane, visto che fin troppo spesso lo Stato laico si è tramutato in laicista, pronto a riconoscere ogni cultura e ogni identità perdendo la propria. «Non si può dialogare e tantomeno cercare di integrare - ha tenuto a mettere in rilievo Pera - se non si parte dalla rivendicazione, anche orgogliosa, della propria identità. Ed è falso che ci si assicuri un pizzico di pace se si concede un pizzico di relativismo».
Tra suggerimenti e riflessioni su una possibile terapia durto (Pera non disdegna tra laltro lidea che si possa ripartire da un nocciolo duro di pochi paesi), anche qualche considerazione interna ed esterna allUnione. Delle prime si è fatto portavoce il vice-segretario della commissione Enzo Moavero, per il quale non bisogna scordare come la Ue abbia significato «mezzo secolo di pace e di crescita del benessere senza precedenti». Le seconde le ha illustrate il politologo Usa Robert Kagan, notando come lEuropa per la Cina è unappendice lontana e da non imitare e che è falso che gli Stati Uniti ne vogliano bloccare la crescita. «Il problema - ha detto a muso duro - è che spesso lEuropa sogna un suo ruolo geopolitico di rilievo, ma poi non è disposta a pagarne i costi».
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