Ecco la vera storia di quell'ovazione

Gli imprenditori si sono identificati con l’uomo d’azienda vessato dallo Stato burocrate e dalla giustizia a due velocità

Ecco la vera storia di quell'ovazione

La vita è ben strana. A chiedere scusa dell’ignobile applauso del­l’assise voluta da Emma Marcega­glia a Bergamo è stato ieri il diret­tore generale della Confindu­stria. Gian Paolo Galli non solo è un signore dai tratti pacati e dagli studi raffinati, ma è quanto di più lontano si possa immaginare da quel clap clap. Non è certo lui il dirigente che ha scelto di dare una tribuna all’amministratore delegato della Thyssen. Ma è lui che ci ha messo la faccia.

È piuttosto singolare che il vertice di Confindustria buono a raccontarci nei suoi discorsetti dell’etica della responsabilità, quando quella responsabilità se la deve assumere, fugga. Verrebbe da chiedersi che differenza ci sia tra una grande organizzazione sindacale come la Confindustria e un grande partito politico come il Pdl, che nelle sue manifestazioni pubbliche ha deciso di mettere nel proprio mirino i magistrati. Con la piccola differenza che in un caso, quello Thyssen, c’è una sentenza, mentre in quello Berlusconi, ancora no. Ma insomma, sembra di capire che ognuno è bravo, corretto, politicamente rispettoso sempre e solo quando il giudice non è il suo. Un grande penalista ci ha ben sintetizzato il nocciolo della questione. Dalle carte dell’accusa, accolte dal giudice, i vertici di Thyssen si sono adoperati per non mettere in regola con gli standard di sicurezza la propria fabbrica, poiché avevano intenzione di chiuderla. Il rischio è però che un caso molto specifico e circostanziato come questo possa venire applicato da altri magistrati in cerca di fama per incidenti sul lavoro che non configurino alcun comportamento doloso.

E se questo andazzo dovesse dilagare sarebbero davvero dolori per il nostro sistema economico. Resta da capire, sì capire, perché 5mila imprenditori abbiano tributato questo applauso scrosciante. E perché la signora Marcegaglia in conferenza stampa abbia avuto la «furbizia» di definirlo: ovvio. E in questo caso la storia cambia. Gli imprenditori italiani a Bergamo non si sono identificati con l’omicida (posto che nel nostro sistema ci sono altri due gradi di giudizio e il signor Thyssen potrebbe veder riconosciute le sue ragioni inno-centiste) ma con l’uomo d’azienda vessato dallo Stato. Male, malissimo ha fatto la Confindustria a favorire questa identificazione con il manager della multinazionale tedesca. Ma resta questo processo di identificazione su cui la politica (soprattutto quella di centrodestra che oggi governa) deve ragionare e interrogarsi.

Chi fa impresa in Italia, non solo deve combattere nel mercato, ma si trova sovente a combattere contro le istituzioni. Deve pagare tasse vessatorie, deve farlo in modo complicato, deve subire controlli di ogni tipo, deve gestire una burocrazia assurda, e deve subire un sistema della giustizia da terzo mondo: spedita quando si tratta di bloccare un’impresa, disastrosa quando si tratta di recuperare un credito o risolvere un contenzioso.

L’applauso di Bergamo è orribile per le vittime, per la sobrietà di un’associazione che indossa sempre l’abito da sera, ma è anche un urlo scomposto e comprensibile di un blocco sociale frustrato che purtroppo oggi è costretto a riconoscere in un manager tedesco il proprio cattivo maestro.

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