Aumenta il pressing Ue sulle banche

Per la Bce "alcune negano i problemi". L'Abi si difende invocando la Costituzione

Aumenta il pressing Ue sulle banche

Aumenta il pressing dell'Europa sulle banche italiane. Mentre in Italia il gossip finanziario si è lasciato distrarre dall'ultima puntata della telenovela Etruria, sul tavolo di Francoforte e Bruxelles restano ancora aperti i dossier sul salvataggio di Stato di Mps e Popolari venete. Due partite delicate che vengono giocate dal Tesoro e dal sistema bancario sul campo minato dei crediti deteriorati e di fronte ad arbitri sempre più volubili. «In tutti i paesi dell'area ci sono tre categorie di banche: quelle che stanno facendo bene, quelle che non stanno facendo così bene ma che sono determinate in maniera coraggiosa ad affrontare i loro problemi e altre che lo stanno negando e devono cambiare per migliorare», ha detto ieri la responsabile della Vigilanza bancaria della Bce, Danièle Nouy, rispondendo in un'intervista alla domanda sul perchè Italia e Germania ancora non abbiano fatto pulizia nel sistema bancario e Mps abbia chiesto l'aiuto pubblico. Insomma, secondo la Vigilanza «la cura non può essere peggio della malattia».

Se l'Europa bacchetta l'Italia, i banchieri italiani danno la colpa all'Europa. Invocando addirittura la Costituzione. Il presidente dell'Abi, Antonio Patuelli: «Il bail in contrasta con l'articolo 47 della Carta che tutela il risparmio», ha detto ieri nel suo intervento alla lectio magistralis del presidente della Corte costituzionale Paolo Grossi,. Sottolineando che quell'articolo «è sempre vigente e non abrogabile implicitamente in alcun modo, ma svolge anche un ruolo di limite nei confronti della normativa» Ue e che la Carta non può essere assoggettata alle regole europee.

Il problema è che più passano i giorni e i mesi e più il conto rischia di diventare salato anche per le banche sane. Bruxelles chiede di coinvolgere i privati (e alle banche in difficoltà, di procedere con un numero massiccio di esuberi) e la squadra della Nouy a Francoforte spinge sulle cessioni delle sofferenze «whatever it takes», a qualsiasi costo. Un problema grosso per molti istituti italiani che non possono permettersi di «svendere» i crediti. Lo confermano le ultime richieste arrivate ai vertici di Vicenza e Veneto Banca. La Commissione Ue vuole che i privati investano un altro miliardo nelle due ex popolari prima di dare il via libera alla ricapitalizzazione precauzionale da parte dello Stato. Il salvataggio delle banche venete, operazione da 6,4 miliardi, prevedeva un contributo di un miliardo dalla conversione di bond subordinati e un intervento in conto aumento di capitale del fondo Atlante che ammontava complessivamente a 938 milioni, di cui circa 500 contabilizzati nel patrimonio netto a fine 2016. Le due banche hanno sofferenze lorde per 9 miliardi e a Bruxelles vogliono essere sicuri che in caso di nuove svalutazioni lo Stato non debba coprire «perdite certe o prevedibili», eventualità vietata dalla direttiva Brrd.

Tra le strade possibili per trovare nuovi capitali privati una passerebbe per il braccio volontario del fondo interbancario di tutela dei depositi, Fitd. Ovvero altro soldi dalle banche sane.

«Credo che il sistema bancario abbia pagato un prezzo molto elevato, quindi, francamente, non vedo quali spazi ci possano essere, credo molto ridotti», ha commentato ieri l'ad di Bper, Alessandro Vandelli. Più chiaro di così.

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