"Così Carige ha rischiato il fallimento"

L'ad Fiorentino: "A novembre i nostri clienti ritiravano i depositi agli sportelli"

"Così Carige ha rischiato il fallimento"

«Il 17 novembre Carige ha rischiato di saltare». Lo ha rivelato ieri l'amministratore delegato dell'istituto ligure, Paolo Fiorentino. «Abbiamo avuto per ore gli sportelli con i clienti che ritiravano i depositi», ha aggiunto puntando il dito sulla «ossessione patrimoniale» della Vigilanza Bce che «ha creato un arbitraggio continentale» a favore degli investitori Usa con le banche italiane «costrette a vendere le sofferenze a qualunque costo e, riferendosi all'addendum promosso da Daniele Nouy, sulla «devianza burocratica» che ha invaso «il campo della politica».

La crisi è stata poi risolta grazie all'intervento degli azionisti retail di Carige che hanno coperto «una parte importante» della ricapitalizzazione. Quello di Carige è il «primo caso di una banca in difficoltà che è uscita con le proprie gambe, senza aiuti di Stato», ha sottolineato l'ad. Anche se, va detto, una parte dell'inoptato dell'aumento è stato rilevato anche da Sga, società controllata dal Tesoro, che oggi è azionista di Carige con quasi il 5,4 per cento.

La tensione all'interno della banca è però tornata a salire settimana scorsa. Con una lettera datata 11 gennaio l'azionista di controllo, Malacalza Investimenti, ha chiesto al cda un «franco chiarimento» sull'aumento di capitale e in particolare sulle banche del consorzio di garanzia dell'aumento (Deutsche bank, Credit Suisse e Barclays), di cui i Malacalza si riservano di «valutare, e se del caso perseguire, le responsabilità». La lettera è «una normale dialettica. Fa parte della vita aziendale e non mi sembra un punto particolarmente preoccupante», ha detto ieri Fiorentino, aggiungendo che sul tema ci sarà «un normale confronto in consiglio» ma specificando di essere concentrato sul rilancio commerciale e sulla redditività della banca».

Ieri le azioni di Carige hanno guadagnato l'1,18% attestandosi a 0,0086 euro. Più consistente il rialzo messo a segno in Piazza Affari dal Credito Valtellinese (+3,7% a 10,74 euro) che ha allargato il consorzio di garanzia per l'aumento di capitale da 700 milioni. Santander, Barclays e Credit Suisse affiancheranno - in qualità di co-global coordinators e joint bookrunner - Mediobanca e Citi, con i quali l'istituto guidato da Mauro Selvetti ha già firmato un accordo di pre-garanzia. Prima dell'avvio dell'offerta, si legge in una nota, il consorzio potrà essere allargato ad altre istituzioni finanziarie. La ricapitalizzazione del Creval dovrebbe partire il 19 di febbraio, il 5 è in agenda il cda sui conti 2017 e, per quella data, si attendono anche novità sul via libera da parte della Consob al prospetto sull'aumento che nei piani dei vertici deve essere varato prima delle elezioni del 4 marzo.

Nel frattempo, il sistema bancario è tornato davanti alla lavagna di Francoforte. Sono partiti ieri gli stress test 2018 della Bce condotti con l'Autorità bancaria europea (Eba) sulle big del credito europee, comprese quattro italiane: Intesa, Unicredit, Banco Bpm e Ubi. I risultati dovrebbero essere pubblicati entro il 2 novembre 2018. In parallelo, la Bce condurrà propri test per quegli istituti «non significativi» ec non coperti dall'analisi dell'Eba. Che sempre ieri ha alzato il sipario sulla metodologia degli esami: è previsto uno scenario avverso con Pil europeo in discesa dell'8,3% entro il 2020 anche per gli effetti negativi dalla Brexit nel 2019. L'obiettivo è verificare la capacità delle maggiori banche del Continente a sopportare lo stress senza ricorrere ad aiuti pubblici.

L'Eba segnala i rischi di un circolo vizioso fra «redditività delle banche debole e bassa crescita a seguito della recessione europea». Uno scenario che «colpirebbe in particolare gli istituti di quei Paesi che stanno affrontando cambiamenti strutturali nel settore bancario».

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