Roma - Il prezzo di quel famoso 1992 non è stato solo politico. Mentre l'Italia traghettava dalla prima alla seconda Repubblica a Bruxelles si compiva un altro passaggio: quello da un patto per entrare nell'Euro molto favorevole all'Italia, il famoso il trattato di Maastricht, a un'altra regola decisamente più dura. Tanto da sembrare studiata per mettere nei guai le economie in difficoltà, come la nostra. Un semplice regolamento ribattezzato Patto di stabilità.
Angelo Polimeno, giornalista Rai, ha ripercorso questo pezzo di storia passato nel silenzio «voluto e colpevole» della politica, in un libro intitolato Non chiamatelo Euro (Mondadori, 154 pagine, 12 euro). Tutto nasce da una denuncia del giurista Giuseppe Guarino - spiega Polimeno - e dall'analisi del contesto politico. «A fine anni Ottanta-inizio Novanta, il governo Andreotti riuscì a ottenere che i parametri del trattato di Maastricht su deficit e debito venissero verificati con il criterio della tendenzialità». E che in periodi di crisi particolarmente duri, «come quello che stiamo vivendo» - sottolinea - gli stessi vincoli di bilancio fossero sospesi.
Tutto merito di Guido Carli, allora ministro. «Godeva di grande credito in Germania. «Spiegò al cancelliere Helmut Kohl che serviva gradualità nella riduzione del debito, altrimenti non saremmo potuti entrare». La Francia era d'accordo. Anzi, ricorda il giornalista, «aveva posto come condizione per l'adesione all'Euro che anche l'Italia ne facesse parte. Parigi temeva la svalutazione della Lira». Solo la Bundesbank era contraria a Maastricht.
Il primo accordo passa tra mille difficoltà ed entra in vigore il 7 febbraio del 1992. Il mese dopo sarebbe scoppiata Tangentopoli e la politica sarebbe cambiata radicalmente. «Andreotti e Carli escono di scena. Le pressioni della Bundesbank riprendono fortissime. A questo punto Kohl lavora per convincere Romano Prodi e Carlo Azeglio Ciampi per cambiare il criterio della tendenzialità e la sospensione».
Ci riesce. Con l'aggravante che il cambiamento non avviene, come avrebbe dovuto, attraverso un altro trattato internazionale.
«Si ricorre a uno stratagemma, approvare un regolamento che non ha bisogno di passare né dal Parlamento né dal voto referendario. Il n. 1466 del '97, più conosciuto come Patto di Stabilità». Erano gli anni di Romano Prodi. «Oggi va in giro definendolo Patto di stupidità. Non ricorda mai di averlo firmato lui», commenta Polimeno.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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