Crisi, 5 aziende su 6 temono di fallire

Crisi, 5 aziende su 6 temono di fallire

La confusa situazione politica provocata dalle elezioni ha dato il colpo di grazia alla residua fiducia degli imprenditori di uscire dalla crisi. Adesso, tra di loro, c'è spazio solo per un pessimismo senza speranza, che viene declinato con la paura di dover chiudere presto i battenti. Non una, non due, ma bensì cinque aziende su sei temono infatti di fallire entro la fine dell'anno, come rivela un rapporto dell'Ufficio studi di Unimpresa. E il motivo principale è legato alla crescente difficoltà a ottenere prestiti. Un tema spinoso su cui interviene il presidente di Telecom, Franco Bernabè: «L'Italia non ha bisogno di ulteriori misure di austerità, ma c'è bisogno di reimmettere liquidità nel sistema. Senza liquidità le imprese muoiono, si devono rifinanziare gli investimenti e ci sono le possibilità». Come? «Bankitalia potrebbe fare di più - spiega Bernabè - di quanto sta già facendo», innanzitutto «utilizzando gli strumenti per rifinanziarsi presso la Bce, garantendo prestiti collaterali che vengono dati dalle banche in deposito presso la Banca d'Italia». Telecom sta però investendo tre miliardi di euro per fare in modo che «nel 2015 il 65% della popolazione sia coperta con banda ultra larga mobile». Quanto a Grillo, il numero uno di Telecom è convinto che non abbia vinto le elezioni grazie al web: «Ha fatto una campagna elettorale che ha molte caratteristiche tradizionali. È stato uno dei pochi leader che è stato sempre sulle piazze». Lo stallo politico rischia comunque di far diventare ancora più dura la recessione. Prometeia ha già rivisto le stime sul Pil 2013, abbassate a un -1,2% (dal precedente -0,6%), mentre la ripresa è rimandata al prossimo anno (+1%). Nel cahier des doléance delle imprese non potevano poi mancare le tasse: la pressione fiscale, che supera il tetto del 50%, è un altro elemento destabilizzante: scadenze e adempimenti tributari sono difficilissimi da rispettare. Soprattutto se la gestione quotidiana è azzoppata dal ritardo con cui la pubblica amministrazione salda le fatture. In ballo c'è uno stock da 90-100 miliardi che non viene sbloccato da amministrazioni centrali e locali, come recentemente denunciato dalle banche, a causa dello stallo nel meccanismo di certificazione dei crediti vantati dalle imprese. Inoltre, le nuove direttive europee adottate recentemente in Italia - che dovrebbero imporre allo Stato di saldare le fatture entro 60 giorni - trovano scarsissima applicazione. Ritardi dei pagamenti sono evidenziati anche nei rapporti fra privati che si traducono in un colpo tremendo alla circolazione di liquidità e nella crescita delle insolvenze.


Oltre allo stop agli investimenti, un ultimo fattore critico è l'ingessatura del mercato dell'occupazione. Le nuove regole varate lo scorso anno dal governo tecnico - lamentano le imprese - non hanno migliorato la situazione e non hanno risposto alla esigenza di maggiore flessibilità chiesta dai datori di lavoro.

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