Economia

Gli editori alla sfida del digitale. Cosa può cambiare?

Gli editori digitali e televisivi soffrono la concorrenza degli attori che si muovono unicamente nel settore digitale. Ma il mercato non è perduto. Il manager e analista Marco Lenoci spiega perché

Gli editori alla sfida del digitale. Cosa può cambiare?

Come cambierà il mercato digitale per audio e video ora che nel dibattito e nel mercato dominano gli editori che distribuiscono unicamente i contenuti su mezzi online, i cosiddetti Over the top? Ne parliamo con Marco Lenoci, manager del settore con una lunga esperienza in Google e direttore generale di Evolution.

Le media company tradizionali soffrono molto gli Over-the-top. Si sta polarizzando il mercato?

Negli ultimi anni stiamo assistendo ad un’ascesa inarrestabile delle OTT nel panorama televisivo mondiale. Ad oggi, il tempo trascorso dagli utenti su servizi in streaming rappresenta il 44% del tempo di permanenza totale della TV, dato che continua a confermarsi in continua crescita anche dopo la pandemia. È un trend che va avanti ormai da quasi un decennio e il lockdown degli scorsi anni ha messo a nudo la carenza di contenuti dei broadcaster tradizionali, spingendo gli utenti ad affidarsi a servizi a pagamento per soddisfare il fabbisogno crescente di contenuti originali. Il risultato è stato un aumento sostanziale del tempo di permanenza sulle piattaforme OTT a scapito della vecchia TV.

Quanto conta, in quest'ottica, il cambio dei consumi? C'è un abbandono trasversale alla Tv?

In Italia, il 92% della popolazione tra i 16 e i 64 anni utilizza regolarmente servizi di streaming come Netflix come strumento di consumo della TV, dato che conferma la crescente predilezione per contenuti on demand di qualità che riflettono le mutate aspettative degli utenti televisivi è che la TV tradizionale fa fatica ad offrire.

A cosa è dovuto questo spostamento così massiccio?

L’elemento differenziante nella fruizione di contenuti televisivi oggi è senza dubbio la capacità di produzione di contenuti originali e di qualità, fattore che amplifica il divario tra le OTT e i broadcaster tradizionali, considerata la sproporzione di risorse economiche tra le OTT e i player nazionali. Nel 2021, Netflix ha speso quasi 17 miliardi di dollari contenuti originali, in una competizione che vede Disney al comando con investimenti di oltre 25 miliardi sulle proprie piattaforme proprietarie Hulu, Disney+ e ESPN+. La portata degli investimenti dei colossi americani non è altro che una conferma di come Disney, Netflix, YouTube, Apple, Amazon, Twitch, stiano attivamente lavorando per sovvertire gli equilibri della televisione.

E per quanto concerne l'allocazione dei budget pubblicitari come evolve il mercato?

Il dato interessante è che in Italia, alla progressiva perdita di audience da parte dei broadcaster nazionali non è corrisposto uno spostamento dei budget televisivi che non si sono adeguati in maniera proporzionale al peso delle OTT all’interno del panorama televisivo nazionale. Se nel Regno Unito i budget del digitale sono già 6 volte più alti rispetto a quelli assegnati alla TV tradizionale, In Italia il rapporto è inverso con la TV che nonostante tutto intercetta circa 8 volte tanto il budget assegnato al digitale. Questo fenomeno è stato agevolato da due fattori, entrambi mutati nel corso dell’ultimo anno. Il primo fattore è che le OTT nella loro prima fase di espansione avevano privilegiato modelli di business con subscriptions pure, senza avvalersi di pubblicità e sottraendosi quindi alle dinamiche di allocazione di budget pubblicitari a livello dei singoli stati. Quest’anno, Netflix ha annunciato che entro fine di quest’anno comincerà ad avvalersi della pubblicità come strumento di monetizzazione complementare rispetto agli abbonamenti, annunciando una partnership con un’altra OTT (Microsoft) per la raccolta pubblicitaria. A mio avviso questo rappresenta il primo passo di un’inevitabile processo di ridistribuzione dei budget pubblicitari storicamente allocati alla TV. Il secondo elemento è la totale segregazione che tradizionalmente veniva fatta tra audience televisiva e audience web, con due entità distinte che ne rilevavano i dati di traffico (rispettivamente auditel e audiweb). A partire dallo scorso marzo con l’introduzione della total audience, gli spettatori televisivi e i siti web che ospitano contenuti video verranno conteggiati insieme alla formazione del dato di total audience. In termini pratici, questo significa che OTT, testate editoriali e televisioni tradizionali vedranno i propri utenti video conteggiati all’interno di un unico framework comune e nel medio periodo, la total audience dovrebbe determinare il volume di budget pubblicitario allocato ai diversi player di mercato. Il mondo della TV è già cambiato a livello di fruizione di contenuti e si appresta a cambiare anche a livello di allocazione pubblicitaria. Questo dato potrebbe presto cambiae

E il mondo dell’editoria come è messo, invece?

Il 2022 è un anno spartiacque per il mondo dell’editoria, a causa del concorrere di quattro eventi del tutto straordinari rispetto al tipico andamento del mercato: lintroduzione delle nuove linee guida per la raccolta del consenso GDPR, l'Eco post pandemico e conflitto in Ucraina, il Dibattito sull’equo compenso con Google e l'Introduzione della Total Audience TV+Web

Partiamo dalla tanta discussa Gdpr: che impatto sta avendo sugli editori, soprattutto digitali?

A gennaio di quest’anno in Italia sono state introdotte linee guida più stringenti per la raccolta del consenso GDPR. In estrema sintesi, all’interno dei cookie banner, gli editori devono prevedere l’inserimento di una X o un testo di rifiuto esplicito che permetta agli utenti di negare il consenso al tracciamento dei propri pattern di navigazione sul web che da sempre vengono utilizzati per un’efficace profilazione delle campagne pubblicitarie. A sei mesi dall’adozione delle nuove linee guida sul consenso GDPR, il bilancio per gli editori digitali è quello di una tragedia annunciata. L’introduzione del nuovo cookie banner ha prodotto un calo delle impressioni pubblicitarie che varia dal -30% al -50% rispetto al primo semestre dell’anno scorso. Questo avviene perché se un utente nega il consenso o semplicemente ignora il cookie banner, non viene mostrata pubblicità profilata che copre la stragrande maggioranza delle campagne ad oggi presenti sul web. Le norme GDPR sono dal mio punto di vista uno dei più grandi autogol dal punto di vista normativo e sono un segnale evidente della necessità che il legislatore e il mondo dell’editoria lavorino congiuntamente per la formulazione di norme che da un lato siano efficaci nel tutelare la privacy degli utenti ma dall’altro, siano norme al passo con i tempi e coerenti rispetto al mercato. La nuova direttiva GDPR ha consegnato l’industria pubblicitaria nelle mani di Google, Meta, Amazon e Tiktok, ovvero gli unici attori sul mercato a disporre di dati di prima parte utili e aggiornati.

Passiamo al conflitto in Ucraina: ha distorto il mercato pubblicitario condizionando i dati di traffico?

Gli ultimi due anni di pandemia hanno prodotto una visione distorta dell’andamento del mercato digitale in tutti i suoi settori (broadcaster, bancario, social network, e-commerce) inclusa l’editoria online. Nel 2020 e 2021, gli editori digitali hanno beneficiato dell’aumento di traffico ed introiti generati nel periodo di lockdown, andamento che chiaramente non era sostenibile con il naturale ritorno alla normalità. Oltre al duro risveglio del traffico nel 2022, il conflitto in Ucraina ha iniziato da aprile a produrre effetti devastanti sul mercato pubblicitario, che da sempre è un leading indicator rispetto all'economia reale che è entrata nel più profondo periodo di crisi degli ultimi 10 anni (stagflazione, difficoltà nell’approvvigionamento merci, crisi nel settore bancario). L’effetto della nuova normativa GDPR si è sovrapposto alla contrazione del mercato pubblicitario, mettendo sotto stress la tenuta del mercato in tutti i suoi indicatori principali.

Cosa pensa invece sul dibattito sull’equo compenso con Google?

Per anni le testate giornalistiche hanno sollecitato i governi al fine di garantire che le piattaforme online – e in particolare Google – pagassero un “equo compenso” per questo utilizzo. Sforzo culminato in una legislazione entrata in vigore l’anno scorso in Australia e dall’inizio di quest’anno in Canada e in Europa. In Europa Google ha firmato o sta per firmare accordi con un numero relativamente ristretto di editori per definire quali compensi andranno riconosciuti ogni volta che i loro contenuti appariranno nei risultati delle ricerche online. Il dibattito ruota attorno al concetto di “divario di valore”, uno squilibrio tra il valore che i fornitori di servizi (Google) ottengono ospitando contenuti di terzi e il valore che i proprietari di tali contenuti (gli editori) percepiscono. Considerando la natura reciprocamente vantaggiosa del rapporto tra Google e gli editori, il problema è determinare se il presunto divario esista davvero e, in caso affermativo, come stabilire criteri oggettivi e misurabili per calcolare un compenso equo. È un esercizio arduo in quanto ad oggi, Google è responsabile per il 70%-95% del traffico generato da praticamente tutti gli editori, attraverso i propri canali di distribuzione (motore di ricerca, Google news e Google Discover) e oltre a questo intercetta il 70% della raccolta pubblicitaria che transita sulle testate editoriali. Di contro, l’editoria online è un settore strategico per Google il cui obiettivo principale è vincere la battaglia per l’attenzione degli utenti e contrastare l’ascesa di social network come TikTok, Meta e altri. Le piattaforme social hanno guadagnato terreno nel corso degli anni e le persone trascorrono in media 2.27 ore al giorno su questi canali, cannibalizzando così il tempo trascorso su YouTube, Google Search e altre piattaforme proprietarie. Indirizzando il traffico verso gli editori di notizie attraverso il motore di ricerca, le piattaforme Google News e Google Discover, Google mantiene gli utenti all’interno di un ecosistema “amico” in cui può ancora monetizzare attraverso le sue piattaforme GAM/AdSense/AdExchange. Google retrocede il 70%-80% dei ricavi pubblicitari agli editori e trattiene una commissione del 20%-30%, il che è sempre meglio che perdere questi utenti a favore delle piattaforme social, dove non può monetizzare.

La determinazione dell’equo compenso è un esercizio utile ma non deve tramutarsi in un tentativo di ottenere da Google un contributo sproporzionato rispetto ad un divario di valore reale e realistico. Google è da sempre un partner strategico per il mondo dell’editoria e come tale andrebbe trattato, non è ipotizzabile un futuro prospero per l’editoria senza i canali di distribuzione che Google mette a disposizione ed è necessario che questo aspetto venga compreso a fondo onde evitare che il dibattito finisca per produrre un irrigidimento delle posizioni ed una potenziale chiusura dei canali di traffico su cui si sostiene l’intero sistema editoriale italiano.

Dal mio punto di vista, è fondamentale che i criteri che si sceglieranno nella formulazione dell’equo compenso siano pochi, semplici e misurabili (secondo me l’audience è l’unico criterio logico) e che le negoziazioni non siano condotte appannaggio di poche testate giornalistiche tradizionali. In gioco c’è il futuro di un web libero e plurale che non può prescindere dalle centinaia di attori digitali che hanno reso l’ecosistema del web quello che è oggi. Il web è di tutti.

Risulta possibile in quest'ottica un'alleanza tra media giornalistici e televisivi per far fronte alla sfida posta dal big tech?

Ho voluto offrire una panoramica parallela del mondo televisivo e di quello editoriale poiché ritengo che entrambi presentino non solo una sfida comune (l’ascesa inesorabile delle OTT) ma anche un’opportunità comune che li vede entrambi attori indispensabili e potenzialmente protagonisti. Sono proprio i momenti di grande cambiamento ad offrire le opportunità migliori per innovare ed evolversi a livello tecnologico e di contenuti. Sotto questo aspetto, da un lato l’unificazione dell’audience e l’ingresso di Netflix nel mercato pubblicitario produrrà inevitabilmente un'accelerazione dello spostamento dei budget televisivi verso il digitale ma dall’altro, offre un’opportunità irripetibile ai broadcaster per stringere partnership strategiche con realtà al 100% italiane. Chi detiene oggi l’audience televisiva sul web attraverso i video player integrati sulle proprie pagine? Gli editori digitali! Essi sono un’isola felice nel panorama nazionale in quanto riescono ancora ad intercettare l’attenzione ed il fabbisogno di contenuti degli utenti, raggiungendo la totalità della popolazione connessa ad internet. E’ un patrimonio dal valore inestimabile per i broadcaster che attraverso partnership editoriali potrebbero veicolare i propri contenuti su siti web ed aumentare in maniera esponenziale la propria reach televisiva e presentarsi da protagonisti al tavolo delle pianificazioni pubblicitarie. Provate a pensare alla reach che potrebbe raggiungere un canale televisivo locale se i suoi contenuti fossero veicolati all’interno di siti web e audience rilevanti a livello demografico e sociologico?

Come potrebbe cambiare il mercato italiano ed europeo su questi presupposti?

La nostra ambizione in Italia e in Europa dovrebbe essere quella di costruire alternative competitive ai grandi player internazionali, invece di perdere tempo e risorse in piccole beghe locali senza vincitori (e tutti vinti). Il progresso tecnologico non si ferma erigendo palizzate contro Google, Netflix, Tiktok, Meta, Amazon, il progresso si accoglie e si cavalca con la forza delle idee. In altre parole, dobbiamo ritrovare la capacità di essere padroni del nostro destino e una grande alleanza tra editori e broadcaster è l’unica strada possibile per costruire un’alternativa credibile ai giganti del web che stanno sempre più rapidamente conquistando fette di mercato grazie a risorse economiche potenzialmente illimitate.

In gioco non c’è solo la sopravvivenza dell’editoria e della televisione, in gioco c’è la nostra identità di paese in grado di darsi una dimensione adatta al mondo globale che già è che sempre più lo sarà.

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