Marcello Zacché
nostro inviato a Londra
La nostra maggiore società quotata in Borsa, l'Enel, punta su di noi. Nei prossimi tre anni, orizzonte 2020, l'offerta di nuovi servizi al cliente è al primo posto tra le novità del piano strategico del gruppo, presentato ieri a Londra dal ceo Francesco Starace. Digitalizzazione e cliente: sulla prima, cioè sulla gestione remota delle reti, Enel investirà 5,3 miliardi; per fornire ai secondi un universo di app, casalinghe e in mobilità, che da sole genereranno 3,3 miliardi di margini operativi (parliamo di 67 milioni di clienti finali di cui 35 sul mercato di elettricità e gas). Per essere un po' più concreti si tratta di domotica (lavatrici, frigoriferi, forni che ci parlano a distanza) e di auto del futuro, elettriche e magari senza guidatore. Solo in Italia Enel poserà 300mila prese di ricarica private nel giro di tre anni. E poco importa se l'ad di Fca Sergio Marchionne dice che l'auto elettrica è una «minaccia per il pianeta»: «È una boutade gli ha risposto Starace noi crediamo sia un'opportunità economica e intendiamo essere già pronti per quando lo saranno anche gli altri».
Nei prossimi tre anni Enel intende effettuare la trasformazione finale da società degli interruttori di casa a utility dei nostri smartphone. Un salto intuito fin dal 2015, quando Starace aveva visto nel contatore digitale di casa una specie di hub dalle potenzialità enormi per stare al passo con quella che definisce la «trasformazione in atto nell'industria dell'energia». Che porta Enel a convergere sulla stessa strada delle telecomunicazioni. E qui, al di là delle polemiche con Telecom sulla rete in fibra, l'Enel del piano presentato ieri è l'esempio di una multinazionale che va avanti spedita. Un gruppo che è «nostro» anche perché il maggiore azionista è ancora lo Stato. E che nonostante (o grazie a) questo ha dimostrato in questi anni vivacità e lucidità manageriale che la privatissima Telecom, per dirne una, si sogna. Basta pensare all'analogia di due gruppi entrambi arrivati ad avere troppi debiti e un problema strategico, e alle due diverse soluzioni adottate: per Telecom una ritirata strategica; per Enel qualche rinuncia e forti tagli, senza però mai smettere d'investire, nella convinzione che il rilancio poteva passare solo da una forte generazione di margini, diversificati per geografia e settore. In questo piano, solo per l'Italia, ci sono 10 miliardi di investimenti, di cui 3 in capo a Open Fiber, sui quasi 28 totali annunciati ieri.
Quali altri gruppi, privati o di Stato, fanno altrettanto nel nostro Paese? Che questa sia la dimostrazione che una multinazionale privatizzata, ma rimasta a trazione pubblica, sia preferibile rispetto a una privatizzazione pura, non si può essere certi. Ma il sospetto è molto forte.
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