Economia

Eni punta 450 milioni sul vento inglese

Rilevato il 20% del maggiore parco eolico off shore al mondo. Scatta il titolo: +3,4%

Eni punta 450 milioni sul vento inglese

Nuovo passo green per Eni che, a stretto giro dall'accordo sull'idrogeno con Enel, entra nel mercato eolico inglese. Il gruppo guidato da Claudio Descalzi fa il suo esordio nel business del vento offshore (ovvero con gli impianti realizzati a largo della costa, in questo caso a oltre 100 chilometri dalla costa dello Yorkshire) e lo fa entrando in un maxi progetto (è il più grande al mondo): Eni si è assicurata il 20% del capitale per un impegno di 405 milioni di sterline (450 milioni di euro al cambio attuale). Nel dettaglio il progetto, denominato Dogger Bank, è un impianto da 190 turbine nato dall'impegno del gruppo Equinor (la società petrolifera di stato norvegese) e dalla società specializzata Sse Renewables. A regime potrà dare energia all'equivalente del 5% delle famiglie britanniche. Una volta completata la centrale, entro il 2024, costerà 6 miliardi di sterline, portando l'investimento complessivo di Eni a 1,2 miliardi di sterline (1,33 miliardi di euro).

Un passo importante per Eni soprattutto perché le permetterà di accrescere «le proprie competenze nella costruzione e gestione di progetti offshore wind per future iniziative, anche in altre aree geografiche», spiega una nota della società. Eni si assicura, infatti, visibilità sulla tecnologia dell'eolico che, in questo caso, sfrutta la scarsa profondità dei fondali e i venti forti e costanti tutto l'anno. «L'ingresso nel mercato dell'eolico offshore in Nord Europa rappresenta per Eni una grande occasione che ci consentirà di acquisire ulteriori capacità nell'offshore eolico, grazie alla collaborazione con due aziende leader del settore», ha detto Descalzi.

Una prima, dunque, per Eni che nell'eolico attende le gare di gennaio in Norvegia dove, da novembre, ha costituito allo scopo Vårgrønn: veicolo con HitecVision, investitore di punta nel settore del private equity, focalizzato su progetti di energia rinnovabile in Norvegia e nel mercato nordico.

Quanto al Regno Unito, il Cane a sei zampe opera nell'upstream, nel gas & power e nel refining & marketing e ha avviato, a ottobre, un'iniziativa nel Mare d'Irlanda Orientale per riutilizzare i giacimenti esausti di Hamilton, Nord Hamilton e Lennox per lo stoccaggio permanente della CO2 catturata nell'Inghilterra nordoccidentale e nel Galles settentrionale.

Tornando all'eolico, la società italiana è presente, in Kazakistan con 48 Mw onshore che raddoppieranno a breve. La transizione energetica di Eni passa poi più che altro dal solare. Tutti tasselli della trasformazione industriale in atto e in vista degli obiettivi 2050, quando scatteranno gli obiettivi della Ue di «zero emissioni» di CO2. A proposito di obiettivi, il 20% di Dogger Bank «consentirà di contribuire con 480 megawatt di energia verde al raggiungimento degli obiettivi Eni di capacità installata da rinnovabili nel 2025, pari a 5 gigawatt», ha aggiunto Descalzi. Buona la risposta della Borsa, dove il titolo Eni ieri ha chiuso in netto rialzo salendo del 3,45% a 8,74 euro. Ad aiutare Eni anche il «rimbalzino» del petrolio sulla scia delle schiarite in seno all'Opec: il Brent si è posizionato in area 49 dollari e il Wti a quota 46 dollari.

Movimenti che influenzano i corsi azionari del Cane a sei zampe la cui strategia è ancora legate alla produzione di idrocarburi.

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