"Fideuram studia lo shopping Obiettivo il private banking"

L'ad: «L'Italia è un mercato troppo piccolo. No fusioni, ma operazioni sulla rete». A giugno utili a 443 milioni

"Fideuram studia lo shopping Obiettivo il private banking"

Fideuram ISP PB chiude un semestre da record e vuole crescere. Il polo della consulenza finanziaria e del private banking guidato dall'ad Paolo Molesini ha superato nel primo semestre la soglia dei 207 miliardi di masse amministrate (+9,1 miliardi rispetto a fine 2016). Forte anche la performance commerciale con 7,5 miliardi di raccolta netta (+80% rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso). «Dal 2015, anno della fusione fra Fideuram e Intesa Private Banking, gli asset del risparmio gestito sono saliti del 19% da 122 a 145 miliardi, la raccolta cumulata nel periodo è stata di 21 miliardi e l'utile netto è passato dai 747 milioni del 2015 ai 786 del 2016 fino ai 443 milioni registrati a giugno 2017, corrispondenti a un annualizzato di 886 milioni», ci spiega Molesini.

Quale strategia ha fatto da acceleratore alla crescita delle masse?

«I numeri dimostrano che l'accorpamento tra la rete di promotori di Fideuram e quella dei private banker di Intesa funziona. Da una parte i consulenti finanziari, lavoratori autonomi e dall'altra i private banker, dipendenti dell'istituto. Hanno saputo fare squadra, così come le strutture di sede, e i risultati si vedono: abbiamo raccolto quanto tutte le altre reti messe insieme e senza ricorrere ad operazioni straordinarie».

State valutando l'ipotesi di crescere di dimensioni, anche tramite acquisizioni?

«Non stiamo valutando grosse operazioni di M&A, in Italia o all'estero, ma siamo interessati a rafforzare la nostra struttura attraverso acquisizioni di team di professionisti del private banking, comprese reti già esistenti, se compatibili con il nostro modello di business. Riflettiamo sulla strategia di espansione, perché ora in Italia siamo una realtà troppo grande per un mercato sempre più piccolo».

Vi aspettate un impatto dall'introduzione delle nuove regole europee della Mifid 2 nel 2018?

«Non ci attendiamo alcuna discontinuità nel business, siamo già pronti con l'adeguamento della reportistica. A fare la differenza sarà il fatto che da oltre dieci anni operiamo in una logica di architettura aperta nella costruzione delle soluzioni di investimento».

L'integrazione di Pop Vicenza e Veneto Banca nel gruppo Intesa coinvolgerà anche la vostra rete?

«Non nella prima fase, ma in un secondo momento. L'impatto comunque sarà relativo, perché le due banche avevano reti di promotori e strutture private di dimensioni ridotte».

Come è cambiata la platea dei vostri clienti in questi ultimi anni di crisi sui mercati?

«I patrimoni in Italia ci sono, quello che manca è il reddito. Per questo il risparmio va valorizzato, non solo protetto. Bisogna offrire ai clienti l'orizzonte temporale di investimento più adatto alle loro esigenze, aiutandoli a capire il costo della liquidità e a superare alcune vecchie convinzioni, come quella per cui le azioni sono sicure e i bond pericolosi. Non esistono titoli buoni o cattivi e spesso quelli buoni sono quelli col prezzo più alto. Il nostro peggior nemico è l'emozione: bisogna non farsi influenzare da eventi esterni e individuare qual è il portafoglio giusto di medio periodo, guardando ai fondamentali».

La prossima sfida del private banker?

«Aiutare il cliente ad affrontare il passaggio generazionale, ovvero abituarlo a pensare alle generazioni future».

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