Le fondazioni provano a ri-fondarsi

Da Mps tornata in utile a CrTrieste al fianco di Fincantieri, la sfida senza banche

Le fondazioni provano a ri-fondarsi

La sfida è soltanto all'inizio e non sarà indolore: le fondazioni, orfane delle banche, vanno «rifondate». Facendo di necessità, virtù. Perché il protocollo siglato tra il Tesoro e l'Acri (l'associazione di riferimento) impone di ribilanciare l'esposizione nella banca conferitaria, quando questa supera il 33% del patrimonio del singolo ente.

Eppure c'è ancora chi chiede loro di scendere in campo con operazioni di «sistema»: il piano industriale preparato da Fincantieri per i cantieri francesi di Stx prevede che il gruppo versi meno di cento milioni per avere una quota del 48% mentre un'altra fetta, del 6% circa è destinata a Fondazione CrTrieste. L'ente triestino possiede ancora lo 0,2% di Unicredit dove dieci anni fa poteva contare su uno 0,4% da aggiungere al nocciolo duro delle altre fondazioni. Ma oggi, dopo il maxi aumento di capitale da 13 miliardi, l'istituto guidato da Jean Pierre Mustier è di fatto una public company e gli enti devono ormai accontentarsi di un complessivo 6%. Fondazione Cariverona possiede ancora l'1,8% ma dieci anni fa superava il 4,5%: «la nostra partecipazione non è strategica, ma finanziaria», ha detto Alessandro Mazzucco, presidente dell'ente scaligero. Che di recente ha comprato il 3,4% della compagnia assicurativa veronese Cattolica «perchè in questo momento ci da' dei dividendi che Unicredit non può assicurarci».

Più a sud, la Fondazione Mps è riuscita a rivedere l'utile dopo quattro anni di rosso. Il 2016 è stato chiuso con un avanzo d'esercizio di 4,1 milioni grazie al buon andamento degli investimenti e all'ulteriore riduzione dei costi operativi. Ma sul patrimonio pesa l'ennesima svalutazione della partecipazione nel Monte di cui l'ente detiene ormai solo lo 0,1% del capitale in carico a un valore di 230mila euro. E a pesare è anche il pressing di quella politica locale che vede ancora in Palazzo Sansedoni un piccolo bancomat cui attingere - come in passato - fino a esaurimento scorte. Rigurgito di antichi grovigli, come le recenti nomine «politiche» (e spiccatamente renziane) fatte nella deputazione generale dell'ente dal Comune di Siena e dalla Regione Toscana.

Che la ri-fondazione sia combattuta e porti nuovi arrocchi lo dimostra anche il caso di Cariparo, azionista di Intesa con il 3,5%. Il quasi novantenne Antonio Finotti, presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo dal 2003, dopo esserne stato segretario generale per i sei anni precedenti, è ufficialmente entrato nei dodici mesi conclusivi del suo terzo e ultimo mandato consecutivo alla guida dell'ente che ha appena chiuso il 2016 con un avanzo record pari a 98 milioni e 200mila euro frutto soprattutto del mega dividendo di 73,4 milioni incassato da Intesa. Finotti lascerà ad aprile 2018 ma la guerra sulla successione è già cominciata sul rinnovo del cda, passato il 1 maggio dopo una fumata nera il venerdì precedente che aveva costretto ad aggiornare la riunione sulle nomine.

A monitorare eventuali strappi c'è comunque il patron dell'Acri (e di Cariplo), Giuseppe Guzzetti, che prima di lasciare

l'associazione nel 2019 ha una missione da compiere: garantire un adeguato livello di erogazioni al territorio in vista di un ruolo «di sistema» degli enti sul fronte del cosiddetto terzo settore. La nuova frontiera, oltre la banca.

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