«In Italia ci sono più agenzie bancarie che pizzerie». Lo ha scritto il Financial Times, che è non è proprio un quotidiano irrilevante. Magari il foglio finanziario londinese ha un po' esagerato nel paragone, però la sostanza del discorso è del tutto condivisibile. Nel nostro Paese gli sportelli sono di gran lunga più del necessario. Ciò sta a significare che la stagione delle fusioni non ha per il momento prodotto risultati apprezzabili. Chiudere filiali e spostare personale sono questioni spinose, visto lo storico strapotere sindacale. Ma il taglio dei costi di strutture antieconomiche (quante agenzie in diverse ore della giornata appaiono deserte o quasi) è un passaggio non più rinviabile. Anche perché quello è il doveroso antipasto alla pietanza per eccellenza, il più appetibile per le banche: l'aumento dei ricavi. I banchieri lo sanno benissimo, tuttavia si fa troppa fatica a muoversi con coerenza per perseguire l'obiettivo. È come se la logica meritocratica e la cultura vincente comune non riuscissero a trovare terreno fertile su cui costruire un percorso autentico di riqualificazione dei ricavi e, di conseguenza, dei margini. Si tratta di ritardi che devono preoccupare, soprattutto in uno scenario di perenne rischio sistemico per il settore creditizio. Il sostegno all'economia reale (in modo particolare a piccole imprese e famiglie) passa per forza di cose anche da fusioni bancarie per davvero innovative e con una visione strategica di lunga data. La diversificazione del business non deve spaventare.
Ma allo stesso tempo non può distrarre gli istituti di credito dalla propria missione principale: erogare prestiti con raziocinio. Nel segno della qualità e non della quantità. Insomma: più sportelli non vuol dire efficacia ed efficienza. Al tempo della crisi ma anche nelle stagioni più felici l'economia di scala è un valore di cui tener conto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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