Economia

Industria calzaturiera, in calo produzione e fatturato: giù il mercato interno e le esportazioni

Siro Badon, presidente di Assocalzaturifici: “La reintroduzione di misure restrittive, gli acquisti natalizi compromessi e la ripartenza della domanda di nuovo rinviata avranno gravi ripercussioni sulle capacità di tenuta del settore".

Industria calzaturiera, in calo produzione e fatturato: giù il mercato interno e le esportazioni

Industria calzaturiera italiana nel tunnel di una profonda recessione a causa anche se ha sperimentato nel terzo trimestre dinamiche un po’ meno sfavorevoli, ma comunque ancora non positive. Scenario delineato dai dati elaborati dal Centro Studi di Confindustria Moda per Assocalzaturifici, che evidenzia nel periodo esaminato diminuzioni a doppia cifra nel fatturato (-26,6%) delle aziende raggiunte dall’indagine. Solo il 14% degli intervistati dichiara di aver superato, o eguagliato, il fatturato del terzo trimestre 2019, mentre più della metà ha denunciato un calo compreso tra il -20 e il -50%. Quadro confermato dall’indice della produzione industriale Istat, che ha registrato in luglio-settembre un calo del 17,4%.

"I dati cumulati dei primi 9 mesi dell’anno – spiega Siro Badon, presidente di Assocalzaturifici – mostrano un settore messo a dura prova dall’emergenza sanitaria. Registriamo contrazioni attorno al 20% in volume per consumi interni (-17,8%) e vendite estero (-20,1%), forti arretramenti nella produzione industriale (-29,4%) e una riduzione media di un terzo (-33,1%) nel fatturato delle aziende associate”.

Flessioni generalizzate, quasi sempre a doppia cifra, sui principali mercati di sbocco, con l’attivo del saldo commerciale che si è ridotto del 18,1%. I primi timidi segnali di rientro alla “normalità” nella domanda, sia internazionale che interna - a settembre export e acquisti delle famiglie italiane avevano eguagliato i volumi dell’analogo mese 2019) - rischiano di essere subito annullati dalla seconda ondata pandemica, con gravi ripercussioni sulle capacità di tenuta del settore - aggiunge Badon - che ha visto ridursi ulteriormente nel 2020 il numero di imprese attive (-101 nei primi 9 mesi) e di addetti (sceso di circa 2.600 unità). Considerando anche i produttori di componentistica, i saldi negativi salgono a -231 imprese e -3453 addetti. Il ricorso alla cassa integrazione guadagni ha raggiunto l’ennesimo record (+930% nei primi 10 mesi dell’anno nella filiera pelle, con +1267% ad ottobre). Forte è la preoccupazione per i mesi a venire”.

Nel dettaglio, relativamente al mercato interno, i dati cumulati dei primi 9 mesi mostrano contrazioni degli acquisti delle famiglie italiane del 17,8% in quantità e del 23% in termini di spesa, con prezzi medi in calo del 6,3%, anche per il maggior utilizzo, nei mesi di quarantena, di pantofoleria e calzature a uso domestico di minor valore medio unitario, e per il minor numero di cerimonie e occasioni di utilizzo fuori casa delle calzature.

Secondo il Fashion Consumer Panel di Sita Ricerca per Assocalzaturifici, i segmenti merceologici più colpiti sono quelli delle scarpe “classiche” per uomo e donna (-30%), mentre per le calzature da bambino e le sportive-sneakers le flessioni sono comprese tra il -15 e il -20%. Meno pesante la frenata per il segmento pantofoleria -relax, sceso del -7,4% in paia e -6,8% in spesa.
Malgrado il boom delle vendite online, il 2020 è un anno “nero” per gli acquisti in Italia, considerato anche il crollo dei flussi turistici dall’estero e del relativo shopping, soprattutto per le fasce lusso.

Le esportazioni, che da sempre sono il traino del settore, hanno subìto nei primi 9 mesi dell’anno una contrazione del 20,1% in quantità e del 17,2% in valore. Complessivamente sono stati esportati da gennaio a settembre, operazioni di pura commercializzazione incluse, 127,1 milioni di paia (quasi 32 milioni in meno rispetto all’analogo periodo del 2019) per 6,4 miliardi di euro con prezzi medi in aumento del +3,6%.

I dati Istat evidenziano come, dopo il dimezzamento subìto nel bimestre marzo-aprile di lockdown (-52% in volume) e il trend ancora marcatamente sfavorevole di maggio-giugno (-26,5%), nel trimestre luglio-settembre, pur in assenza di alcun auspicabile “rimbalzo”, la riduzione si sia decisamente affievolita (-6,5% in volume e -1,5% in valore tendenziali), grazie in particolare al mese di settembre, in cui il numero di paia esportate ha eguagliato quello dello stesso mese 2019 (+0,3%).
Le esportazioni nella Ue (che rappresentano il 65% del totale) sono calate nei primi 9 mesi 2020 del 16,5% in volume e del 14,5% a valore. Superiore al 20%, sia in quantità che valore, la flessione dei flussi verso la Francia, che comprendono anche prodotti del terzismo per le griffe; meno pesante quella verso Germania (-14% in paia, che fa seguito però alla riduzione del -8,4% registrata già a consuntivo 2019), Olanda (-12%, con un -2,6% in valore) e Belgio (-13,4%).

Tra le destinazioni extra-UE (scese nell’insieme del26% circa in quantità, quasi dieci punti percentuali più di quelle comunitarie, e del -19,3% in valore, cali nell’ordine del 30% per il Nord America (con gli Usa che segnano -35% in volume e -29,6% in valore. Nel Far East (che perde il 23,3% in quantità), arretramenti non trascurabili in tutti i principali mercati (Cina -20% in volume, Hong Kong -35%, Giappone -25%), unica eccezione della Corea del Sud (cresciuta del 16% in valore, pur a fronte di una flessione del -6,8% nelle paia), che ha raggiunto il settimo posto nella graduatoria dei paesi di destinazione in valore (era decima a consuntivo 2019).

Quanto alla Cina, è stato registrato un certo dinamismo nel terzo trimestre (+16,8% a valore), ascrivibile in gran parte – considerato l’incremento rilevante dei prezzi medi – alle calzature alto di gamma: i volumi hanno ceduto infatti il 2,1% su luglio-settembre 2019. Male anche la CSI (con la Russia che perde il 25% in volume) e il Medio Oriente (20,5%). Un po’ meno pesante (-16,4% in quantità e -9% in valore) la riduzione dell’export verso la Svizzera, tradizionale hub logistico-distributivo delle grandi multinazionali del lusso, grazie al recupero (+6% nelle paia e +10% in valore) registrato nel terzo trimestre. Scese infine del 29% in quantità e del 23% in valore le vendite verso il Regno Unito.

A livello geografico di produzione, il Veneto – prima regione nella graduatoria con una quota prossima al 28% sul totale Italia – contiene le perdite in un -13,4% in valore. Arretramento del -18% per la Lombardia e del -22% circa per la Puglia.

Ancora più marcate le flessioni per la Toscana (-30,3%), le Marche (scese del -27,7%, con Macerata -26,4%, Fermo -27,2% e Ascoli Piceno -30,6%) e per la Campania (-42,4%).

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