Istat, dal 2011 al 2014 perse 194mila imprese

"La ripresa c’è, la crescita del Pil nel 2016 è la più alta dal 2010" dice il presidente dell’ Istat, Giorgio Alleva, a margine della presentazione del rapporto sulla competitività dei settori produttivi

Istat, dal 2011 al 2014 perse 194mila imprese

Quello di cui stiamo per parlare è un vero e proprio bagno di sangue. L'Istat rivela che dal 2011 al 2014 il nostro Paese ha perso ben 194mila imprese (-4,6%), con un numero di addetti coinvolti nella crisi pari a 800mila unità (-5%). L'effetto dell'ultima recessione, dunque, è stato molto pesante, come si legge nel quinto "Rapporto sulla competitività dei settori produttivi". Vediamo quali sono stati i settori maggiormente colpiti. Le costruzioni hanno risentito in modo pesante dalla crisi (-10% di imprese, -20% di addetti, -30% di valore aggiunto). Più contenute, invece, le perdite subite nel manifatturiero (-7,2% d'imprese, -6,8 di addetti) e nei servizi di mercato (-4,7 e -3,3%). I servizi alla persona sono l'unico comparto che ha visto aumentare aziende (+5,3%) e addetti (+5,0%).

Nel periodo compreso tra il 2011 e il 2014 una impresa su due ha ridotto il valore aggiunto in tutti i settori manifatturieri e in quasi tutto il terziario. Le imprese più colpite dalla crisi sono quelle che vendono soltanto sul mercato interno.

A livello macroeconomico la produttività totale dei fattori (Tfp) è cresciuta sia nel 2014 (+0,7%) sia nel 2015 (+0,4%). Una stima della Tfp a livello d'impresa rivela che la recessione del 2011-2014 ha determinato una divergenza nell'andamento della produttività dell'industria (+2,8% in media, con picchi nei settori di pelli e automobili) e dei servizi (-1,7% in media, con cali vistosi nei comparti di studi professionali, servizi postali e telecomunicazioni). Solo chi vende su scala mondiale ha aumentato occupazione (+5,1%, 21.800 addetti) e valore aggiunto (+6,5%, 1,8 miliardi di euro), mentre le imprese solo esportatrici e le Two-way traders (esportatori-importatori) hanno subito riduzioni su entrambe le variabili.

Italia resta Paese poco internazionalizzato

L'Italia resta un paese complessivamente poco internazionalizzato rispetto alle maggiori economie europee: nel 2015 la quota di Investimenti diretti esteri (Ide) sul Pil (25,9% in uscita e 18,6% in entrata) è meno della metà di quelle di Francia, Germania, Regno Unito e Spagna. Tuttavia, rileva l'Istituto di statistica, tra il 2008 e il 2014 il numero di addetti delle controllate all'estero nella manifattura è aumentato di 110mila unità (+14,5%), arrivando a quasi 860mila addetti. Nel 2014, le controllate manifatturiere hanno generato circa 85 miliardi di esportazioni dai paesi nei quali operano. Nel 2016 la performance dei principali settori di punta della specializzazione italiana è stata sostenuta dalla domanda interna, al contrario del 2015 quando a fare da traino era stata la domanda estera.

Istat, la ripresa ora c'è

"La ripresa c’è - assicura il presidente dell’Istat, Giorgio Alleva, a margine della presentazione del rapporto sulla competitività dei settori produttivi - la crescita del Pil nel 2016 e la più alta dal 2010». Lo dice.

«Usciamo con una parte del sistema produttivo fuori dalla seconda recessione: lo facciamo sicuramente con l’industria manifatturiera, con differenze nei vari settori, e meno nei servizi. C’è un contributo invece negativo nelle costruzioni e, quest’anno, anche agricoltura".

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