Lavazza si rafforza in Australia e prepara la guerra della tazzina

Il gruppo compra Blue Pod, sesta acquisizione in tre anni. Con un occhio alle prossime mosse di Starbucks e della Nestlè

Lavazza si rafforza in Australia e prepara la guerra della tazzina

La guerra della tazzina passa dall'Italia. Ieri Lavazza ha annunciato la sesta acquisizione in tre anni, quella dell'australiana Blue Pod, distributore in esclusiva del gruppo torinese. «L'operazione si inserisce nell'espansione del gruppo a livello internazionale», commenta l'ad Antonio Baravalle.

La società non ha dato dettagli finanziari in merito. Ma la strategia è chiara: in un mercato in cui il consolidamento è all'ordine del giorno, i calibri medi sono destinati a scomparire. Per chi, come Lavazza, ha più volte fatto voto di indipendenza l'essenziale è crescere, rafforzando le proprie difese.

Il gruppo ha appena compiuto 123 anni e, pur essendo il numero tre al mondo secondo i dati di Euromonitor (con un giro d'affari di 2 miliardi e 27mila tazzine bevute all'anno), è molto più piccolo dei competitor internazionali. Compreso Starbucks che, forte dei sui 22,4 miliardi di dollari di giro d'affari annuo, si prepara alla conquista del BelPaese, mercato che per Lavazza rappresenta il 37% delle vendite.

In autunno il colosso delle caffetterie Usa aprirà le porte del primo «flagship store» italiano (sono oltre 29mila al mondo) in Piazza Cordusio a Milano, a pochi passi dalla boutique aperta da Lavazza che finora è rimasta l'unica.

«Ci piace essere corteggiati e parliamo con tutti ma abbiamo chiaro in mente che vogliamo rimanere indipendenti» ha dichiarato poco tempo fa Marco Lavazza co-vicepresidente del gruppo, nel corso dell'inaugurazione del nuovo quartier generale. «Pensiamo che una volta raggiunti i 2,2 miliardi di euro di fatturato, attesi entro il 2020, possiamo ridurre il rischio di essere messi all'angolo» aveva poi aggiunto in merito l'altro vicepresidente Giuseppe Lavazza, sottolineando che la società può contare su una cassa di 460 milioni oltre a potersi finanziare ulteriormente anche attraverso emissioni obbligazionarie. Tra i pretendenti respinti dal gruppo piemontese in quella occasione erano stati annoverati nomi del calibro di Nestlè (che dall'universo del caffè genera 9,28 miliardi di franchi svizzeri), e della tedesca Jab Holding che, in una manciata di anni, ha costruito un impero a suon di acquisizioni (tra cui Jacobs). Tanto che ormai le valutazioni dell'industria del caffè sono arrivate alle stelle.

Solo poche settimane fa Nestlè ha versato 7,15 miliardi di dollari a Starbucks per la distribuzione, su licenza, di alcuni sui prodotti.

In questo scenario in fermento, tra gli osservati speciali ci sono icone del caffè tricolore ancora saldamente controllate dalle omonime famiglie: Illy, presente in 34 nazioni e Massimo Zanetti Beverage, leader nella produzione e distribuzione con un numero crescente di caffetterie Segafredo nel mondo.

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