«Il Parlamento europeo ha costretto la burocrazia a fare marcia indietro sulla pretesa di invadere il campo del legislatore sui crediti deteriorati. Ora spetta ai rappresentanti dei cittadini decidere». Con questo messaggio scritto su Twitter, il presidente dell'Europarlamento, Antonio Tajani ha commentato l'esito del braccio di ferro iniziato nell'autunno dell'anno scorso con la Bce sul cosiddetto addendum alle linee guida per la gestione dei crediti deteriorati. Ieri Francoforte ha, infatti, tolto il velo alle nuove regole che sembrano aver preso in considerazione le preoccupazioni espresse dal Parlamento Ue. Innanzitutto il documento è «rilevante» ma non vincolante e la Vigilanza di Daniele Nouy «discuterà con ogni singola banca le divergenze dalle aspettative di accantonamento prudenziale». Il risultato di questo dialogo sarà incorporato, per la prima volta nella valutazione «Srep» del 2021.
Le nuove regole saranno efficaci su tutti i nuovi crediti deteriorati che emergeranno a partire dal primo aprile. La svalutazione potrà iniziare, per i crediti garantiti, solo dal terzo anno per un valore pari al 40% del credito, che crescerà al 55% dopo quattro anni di anzianità, al 70% dopo cinque, all'85% al sesto anno e del residuo 15% nel settimo anno. «Sia Bruxelles sia la Bce hanno rilasciato dei documenti finali più favorevoli delle attese», ha sottolineato Carlo Tommaselli, analista banche del Credit Suisse. «Soprattutto la Bce ha smussato i toni pur rimanendo su alcune posizioni più dure» rispetto alla squadra di Jean Claude Juncker. «L'impatto del documento della Commissione Ue è molto gestibile e si basa sui nuovi non performing loans, originati da nuovi prestiti (quindi a oggi non esistenti), mentre la Bce si basa su nuovi npl originati da prestiti già nei libri delle banche», aggiunge l'esperto della banca d'affari svizzera. Altri analisti sottolineano che la Bce ha tagliato fuori lo stock dei deteriorati, rilevante per le italiane: 140 miliardi netti secondo i dati di Bankitalia al terzo trimestre del 2017 (il 7,8% dei prestiti totali). C'è, infine, chi preme sul tasto dolente della lunghezza dei tempi delle procedure di recupero dei crediti nei diversi Stati ricordando che in Italia, secondo gli ultimi dati, per chiudere una procedura fallimentare occorrono più di sette anni mentre tre sono gli anni necessari per risolvere una controversia in un tribunale di prima istanza.
Tajani, intanto, non abbassa la guardia: «Il Parlamento europeo valuterà la coerenza del contenuto del nuovo addendum con il rispetto dei poteri del legislatore.
Ad una prima lettura, la Vigilanza chiarisce meglio, rispetto alla versione pubblicata in ottobre oggetto della consultazione, il carattere non vincolante e la sua applicazione caso per caso», ha dichiarato ieri in una nota ufficiale.Avvisando però madame Nouy che è «opportuno» muoversi «nel solco delle norme che il Parlamento e il Consiglio stabiliranno in co-decisione».
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