L'ombra dello Stato sul MontePaschi

di Marcello Zacché

Ancora due settimane per il Monte dei Paschi di Siena, poi l'ingresso dello Stato nel capitale diventerà un'ipotesi concreta. Anche perché nella città che è un tutt'uno con la sua banca, si raccolgono pareri sorprendenti: se si svolgesse ora un referendum per scegliere se si preferisce un socio privato forte, magari estero, o lo Stato, vincerebbe quest'ultimo, visto come più tranquillizzante, una più naturale continuazione dell'incestuoso rapporto del passato tra politica e banca.
La Fondazione azionista al 31,5%, dopo aver determinato il rinvio dell'aumento di capitale da 3 miliardi da gennaio a maggio - votando contro il vertice della banca nell'assemblea di dicembre - non è ancora riuscita a trovare un compratore per gran parte della sua quota. Il presidente Antonella Mansi aveva parlato di fine febbraio per la chiusura dell'operazione, che dovrebbe portare l'Ente a mantenere una quota intorno al 5% e con il ricavato a rimborsare i 340 milioni di debiti in scadenza, oltre a partecipare all'aumento per non diluirsi ulteriormente. Ma negli ultimi due mesi ha ceduto sul mercato meno del 2%, senza intavolare trattative ufficiali con eventuali compratori interessati. Di possibili fondi arabi si è sì sentito dire, ma non è finora emersa alcuna evidenza concreta.
Alcuni banchieri del consorzio di garanzia dell'aumento messo in piedi a dicembre dal presidente Alessandro Profumo con l'ad Fabrizio Viola per rimborsare i 4 miliardi di Monti bond emessi nel 2012, fanno filtrare «grande preoccupazione» per la melina dell'Ente, che incorpora un elemento di grande incertezza per chi dovrà collocare le azioni di nuova emissione, rendendo difficile l'operazione. E forse impossibile anche perché nel frattempo sono sempre più numerose le banche che potrebbero andare sul mercato prima dell'estate. Inoltre, dicono le stesse fonti bancarie, Mansi avrebbe avuto a disposizione una propizia fase di mercato, tra fine dicembre e le prime settimane di gennaio, per cedere pacchetti azionari. Ma ha preferito aspettare e ora i tempi stringono: l'11 marzo il cda esaminerà il bilancio e se per allora non saranno emerse novità le operazioni per l'aumento di capitale partiranno «al buio». L'assemblea di approvazione del bilancio sarà il 29 aprile e la ricapitalizzazione dovrà partire subito dopo: Profumo e Viola hanno previsto, con il consorzio, la partenza per il 12, il 19 o al massimo il 26 di maggio. Poi la finestra si chiude perché vengono a mancare i tempi tecnici per avere in cassa le risorse necessarie a pagare allo Stato la cedola da 330 milioni dei Monti bond, scadenza primo luglio. Inoltre, la Commissione Ue può imporre il rimborso del 70% dei 4 miliardi di Monti Bond. Ecco perché, se l'operazione non si riuscirà a fare, non ci sarà più tempo: allo Stato bisognerà dare subito azioni di nuova emissione e inizierà la nazionalizzazione.

Che, a differenza di quanto si pensa in città, non sarebbe una passeggiata. Per questo, proprio in queste ore, al neoministro dell'Economia Pier Carlo Padoan, che ha poteri di controllo e moral suasion sulle Fondazioni, il dossier Mps è già stato messo in bella vista sulla scrivania.

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