Le manovre dell'Eni al «capezzale» di Saipem

Il Cane a sei zampe apre il dossier sulla controllata per sciogliere il nodo delle garanzie sui grandi progetti e sui crediti bancari

Saipem è caduta nel barile e rischia di trascinare con sé l'Eni che apre il dossier per sganciarsi dalla controllata. Prima che sia troppo tardi. Martedì i vertici della società che costruisce piattaforme petrolifere hanno annunciato a Borsa chiusa un piano di risparmi da 1,3 miliardi, compreso un taglio di 8.800 posti di lavoro in tre anni, per ridurre il debito balzato a quota 5,53 miliardi e tornare a crescere dopo aver chiuso il semestre in profondo rosso per 920 milioni di euro.

L'agonia della Saipem preoccupa gli investitori: ieri il titolo ha perso il 3,44% a 7,8 euro riavvicinandosi al minimo dell'anno, nonché al prezzo di maggio 2004, ovvero 7,08 euro. Lontanissimo dai massimi storici del 2012 a 40 euro. Per il momento non sono state «contagiate» le azioni dell'Eni (+0,51%) che controlla il 43% del capitale di Saipem .

Da tempo si parla della possibilità che il Cane a sei zampe possa scendere sotto il 30% della controllata che però ha visto crollare il suo valore negli ultimi due anni, penalizzata dall'inchiesta su presunte tangenti in Algeria, da due profit warning e dal progressivo peggioramento delle prospettive del business con lo stop al progetto South Stream. Le mosse dell'Eni e le ipotesi di vendita, sono quindi rimaste nel limbo. Anche perchè, fanno notare alcuni osservatori, il boccone Saipem non è facile da digerire: alcuni analisti stimano un esborso complessivo di almeno 15 miliardi. Il conto lo si fa sommando il costo effettivo dell'acquisizione, i debiti bancari e soprattutto i debiti di firma per le garanzie ai clienti che oggi sono rilasciate dalla stessa Eni.

Per questo, rivela una fonte al Giornale , la capogruppo starebbe pensando di distaccare un manager senior trasferendolo da agosto a capo della direzione finanziaria di Saipem, una sorta di signor Wolf che risolva i problemi e che avvii un cantiere di lavoro per risolvere appunto il nodo delle garanzie relative sia alle linee di credito bancarie sia alla copertura dei rischi connessi con l'esecuzione dei grandi progetti.

Intanto, le principali banche d'affari hanno ridotto ulteriormente i target di prezzo delle Saipem perché la cura drastica decisa dall'amministratore delegato Stefano Cao (nominato a inizio maggio) potrebbe non essere sufficiente. Gli esperti di Nomura, assumendo che l'Eni non fornisca un ulteriore supporto, ipotizzano un potenziale aumento di capitale intorno a 2,5-3 miliardi per portare il debito netto di Saipem sotto 3 miliardi nel 2016. Mentre Mediobanca Securities arriva a stimare 3-3,5 miliardi visto l'ingente debito della società.

Chi, forse, aveva scommesso prematuramente sulla vendita delle quote Saipem da parte dell'Eni è stato il fondo americano Dodge & Cox che a marzo ha raddoppiato la quota al 10,4% diventando il secondo azionista di Saipem dopo l'Eni e prima della People's Bank of China (al 2%). Forse anche per avere voce in capitolo sulle strategie future quando e se si fosse avanti un possibile acquirente.

In quei giorni, infatti, il nome più gettonato era il colosso petrolifero russo Rosneft, non particolarmente gradito agli Usa che avrebbero potuto alzare un cartellino giallo dalle poltrone del cda. Poi però il cartellino - rosso - è arrivato dai conti. E dal mercato.

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