Ora sono le famiglie da mettere al sicuro il commento 2

di Marco Giorgino*

La crisi lascia un segno profondo e pesante sul nostro Paese. Negli ultimi giorni, forse presi da altre notizie, anch'esse importanti, non ci siamo accorti di quanto caro stia diventando il conto che l'Italia pagherà.
Bankitalia quantifica, dall'inizio della crisi, in un -7% la caduta del Pil, e in 600mila posti di lavoro in meno, il crollo dell'occupazione. È crescente il costo del «fare impresa» - come sostiene uno studio della società di ricerca Ref sui costi energetici - per le nostre aziende: risulta del 25% superiore alla media europea. Sono bassissimi i dati sui redditi delle famiglie (almeno quelli dichiarati!). Ancora Bankitalia stima in un -3% la diminuzione degli impieghi bancari nell'ultimo anno. Sono dati che annientano ogni tipo di ottimismo. O ci sta bene così, e non è possibile, oppure bisogna far presto. Più volte sono state fatte previsioni su quando l'economia potrebbe ripartire. E, in modo inesorabile, ogni volta che si avvicina il periodo tanto atteso, la stessa previsione viene rivista. Ora, i più accreditano qualche segnale positivo non prima del 2014. L'errore di fondo è che l'economia non riparte da sola. La storia ci insegna che i cicli espansivi e recessivi si alternano, ma non in automatico. L'attuale ciclo recessivo, vista la sua profondità, ha bisogno di una forte spinta per essere invertito. Lo stallo politico istituzionale in cui ci troviamo, però, ha dei tempi incompatibili con i tempi di cui ha bisogno la nostra economia. Non è la politica che può risolvere i problemi dell'economia. Ma, certamente, l'economia non può ripartire se non ci sono scenari politici chiari che favoriscano l'attivazione di politiche fiscali e industriali efficaci. Il governo uscente ha affermato di aver messo in sicurezza la macchina pubblica e i conti dello Stato, con un rigore nel controllo dei numeri, ma anche con una pressione fiscale che non è più sostenibile. Ora il problema da risolvere, forse più difficile, è quello di mettere in sicurezza il comparto delle famiglie e quello delle imprese, soprattutto piccole e medie, che proprio da questa pressione sono stati fortemente penalizzati. E in fretta. Senza il secondo, anche il primo è a rischio. Sul mondo delle imprese, in particolare, vedo due problemi molto urgenti: il primo riguarda il recupero di competitività su base internazionale, anche se questo spesso sconta una dimensione troppo piccola delle nostre imprese, oggi non più compatibile, in molti settori, con la struttura dei mercati. Una politica industriale che focalizzi gli interventi sui nostri settori di eccellenza (che ci sono!) e una politica fiscale che consenta di incentivare aggregazioni sarebbero necessarie. Il secondo riguarda una ridefinizione del rapporto tra imprese e banche. Oggi le imprese hanno bisogno di risorse finanziarie più che mai, ma non si illudano di trovarle come prima. Gli spazi per un ulteriore indebitamento bancario sono minimi, sia perché il livello del debito è già alto, sia perché i vincoli regolamentari delle banche si rivelano oggi più stringenti. E allora, per mettere in sicurezza le imprese, bisogna ricapitalizzarle.

E accompagnarle, anche attraverso incentivi fiscali, verso un rapporto più diretto con i mercati dei capitali. La crisi ha fatto emergere molti nodi strutturali. A oggi, purtroppo, sono ancora tutti lì.
*Professore di Finanza, Politecnico di Milano
twitter@marco_giorgino

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