Il prezzo del petrolio torna sotto la lente dei mercati internazionali dopo la fiammata dei giorni scorsi che ha riportato il Wti a 61,2 dollari al barile e il Brent a 65,2 dollari. Un rimbalzo settimanale significativo, nell'ordine del 7%, innescato dalle nuove sanzioni decise dall'amministrazione Trump contro le compagnie petrolifere russe, in un contesto economico globale che mostra segnali di rallentamento.
Secondo diversi analisti, è ancora presto per dire se si tratti di un rialzo temporaneo o dell'inizio di un'inversione di tendenza dopo la discesa delle quotazioni dal picco di inizio 2025, quando il Brent viaggiava attorno agli 82 dollari. La prossima settimana sarà fondamentale anche per i negoziati tra Stati Uniti e Cina: Pechino, ormai tra i principali acquirenti di greggio russo, rischia di finire nel mirino delle sanzioni in caso di prosecuzione degli acquisti, con possibili ripercussioni sull'intero mercato energetico.
Un rapporto di Goldman Sachs stima che le misure contro Rosneft e Lukoil, che rappresentano circa il 45% delle esportazioni di greggio russe, possano spingere temporaneamente i prezzi fino a 85 dollari al barile. Tuttavia, secondo la banca d'affari, l'effetto sarebbe limitato nel tempo: le stime 2026 restano ancorate a una forchetta compresa tra 52 e 56 dollari, grazie sia a possibili esenzioni e meccanismi di aggiramento, sia a un probabile aumento della produzione da parte dei Paesi Opec.
Tra questi, il Brasile si conferma protagonista. La compagnia statale Petrobras ha registrato esportazioni record nel terzo trimestre con 814mila barili di petrolio al giorno, in aumento del 36% rispetto all'anno precedente. La Cina ha assorbito il 53% delle spedizioni, in crescita di 14 punti percentuali, mentre la quota destinata a Stati Uniti ed Europa si è dimezzata. La società ha raggiunto una produzione complessiva di 3,14 milioni di barili equivalenti di petrolio al giorno (+17%), trainata dall'attivazione di undici nuovi pozzi e dal potenziamento di diversi impianti offshore. Sulla scena globale emerge anche la raffineria nigeriana Dangote, destinata a diventare la più grande del mondo. Il gruppo, guidato da Aliko Dangote, punta ad ampliare la capacità produttiva dagli attuali 610mila barili al giorno fino a 1,4 milioni, superando così l'impianto indiano di Jamnagar.
Sul fronte europeo, le compagnie osservano con cautela l'evoluzione delle sanzioni statunitensi.
"Quale sarà l'impatto è ancora presto per dirlo", ha dichiarato Francesco Gattei, Chief Transition & Financial Officer di Eni (in foto l'ad Claudio Descalzi), ricordando le "poche interazioni con le due compagnie interessate (Lukoil e Rosneft), quindi non ci aspettiamo molti impatti materiali sulle nostre operazioni in corso".