Avara di soddisfazioni, spesso volubile nell'andamento e affetta da un nanismo da cui non riesce ad affrancarsi nonostante l'aumentato apporto delle matricole: passano gli anni, ma alla fine i bilanci di Piazza Affari presentati da Borsa Italiana tendono sempre ad assomigliarsi, specchio come sono di un Paese incapace, almeno finora, di uscire dalla crisi. Non che gli altri mercati azionari dell'eurozona abbiano particolarmente brillato in questo 2014 segnato da un indebolimento congiunturale collettivo e dal virus della deflazione. Anzi: per quanto modesto, il +2,03% realizzato dal Ftse Mib da inizio gennaio (+1,23% il Ftse Italia All Share) regge il confronto con l'ancor più mediocre rialzo dell'1,8% dell'Euro Stoxx 50. Meglio, invece, evitare paragoni con i listini champagne come quello argentino (+56% nonostante il default tecnico di Buenos Aires), o indiano (+30%) e anche con Wall Street (+13% l'S&P 500).
Poteva andare meglio? Certo: chi ha investito su Fca (l'ex Fiat) si porta a casa un +61%, e vincente è risultato anche l'investimento in Finmeccanica (+40,5%), in Bpm e Intesa (+35% entrambe). Ma poteva anche andar molto peggio: la scommessa su Mps (-57%) è risultata perdente. In ogni caso, dal massimo toccato il 10 giugno a quota 22.503 punti, l'indice principale è scivolato fino al minimo del 15 dicembre scorso di poco più di 18mila. Un salto indietro di oltre 4mila punti avvenuto soprattutto nell'ultimo scorcio dell'anno. Un periodo segnato da momenti di forti turbolenze e incertezze legate all'indecisione della Bce sul quantitative easing ; alla crisi dei prezzi petroliferi e alla caduta della Russia; e alla situazione politica in Grecia. Anche la forte accelerazione degli scambi, 2,9 miliardi di euro la media giornaliera (+33,6% rispetto al 2013), con i contratti arrivati a oltre 264.500 al giorno (+17%) e con Unicredit regina dei passaggi di mano (112,3 miliardi di controvalore), sembra riflettere la volatilità del listino, più che un'effettiva vitalità malgrado la nuova energia garantita dalle new entry. In particolare, sono state 26 le Ipo (cinque sul mercato principale Mta, ovvero Anima holding, Cerved, Fineco, Fincantieri e Rai Way, e 21 su Aim Italia, quello riservato alle piccole imprese), contro le 18 del 2013, mentre 11,1 miliardi sono stati raccolti attraverso 27 aumenti di capitale, per lo più nel comparto bancario, con le operazioni di Mps, Banco Popolare, Bpm e Carige. Modeste le Opa, appena sette per un controvalore di 718,7 milioni, poco più della metà dell'anno precedente.
Da queste cifre appare evidente che se il mercato delle pmi ha registrato un vero e proprio boom, quello principale si è ancora assottigliato. In totale, sono 342 società quotate, in aumento rispetto alle 326 del 2013, ma sono scese a 285 quelle sull'Mta, cinque in meno rispetto al 2013.
L'Aim è invece decollato e conta 57 società rispetto alle 36 del 2013, ma ha un peso specifico ancora troppo esiguo per irrobustire la Borsa, la cui capitalizzazione, pari a 470,4 miliardi (438 l'anno scorso), è infatti pari solo al 29,1% del Pil dal 28,1% di fine 2013. Nota invece positiva, la leadership europea mantenuta anche nel 2014 per contratti scambiati su EtfPlus e sul Mot.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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