Massimo Restelli
Passa da 1.800 esuberi e dalla chiusura di 250 sportelli entro il 2019 il progetto di fusione tra il Banco Popolare e Bipiemme da cui nascerà il terzo polo del credito del Paese. I capi azienda Pier Francesco Saviotti e Giuseppe Castagna, che prenderà le redini dell'aggregato, stanno limando i dettagli in vista della presentazione del piano in agenda domani, dopo l'approvazione dei rispettivi cda, ma stando a quanto trapela dagli advisor, l'obiettivo è raggiungere a fine periodo 800 milioni di profitti.
Si profila però un'importante novità: a differenza di quanto annunciato un mese fa, la sopravvivenza di Bpm sotto alla nuova holding subirà infatti quasi certamente un forte ridimensionamento. Per espresso ordine della Bce, che non accetta moltiplicazioni di poltrone, la Milano dovrebbe ora assumere non più la veste di «Spa», ma solo quella più modesta di «banca rete». La «nuova Bpm» manterrebbe tuttavia un proprio vertice (molto snello) e una (limitata) autonomia. In ogni caso questa catena di controllo avrà vita breve: tre anni al massimo, poi ci sarà, come vuole la Vigilanza, solamente la holding. Dove la Milano peserà post fusione per il 46% e il Banco per il 54 per cento.
Le filiali che saranno chiuse sono invece concentrate, per un'evidente sovrapposizione delle reti distributive, in Lombardia, cui si aggiungerebbe qualche sacrificio in Piemonte e nel Lazio. Dovrebbero comunque essere mantenute le insegne di «territorio» più radicate come quella di CariAlessandria. Chi si attende già domani un progetto iper-dettagliato potrebbe tuttavia restare spiazzato; l'impostazione scelta da Saviotti e Castagna sarebbe infatti quella di tracciare il macro-percorso, lasciando ai successivi cantieri il resto. Per quanto riguarda le controllate, per il momento Banca Akros e Banca Aletti resterebbero due realtà distinte, con l'idea però di accentuarne le rispettive specializzazioni «core»: l'investment banking per la prima e il private per la seconda, con il conseguente reciproco travaso di clientela.
Più complessa la partita nel credito al consumo dove si sovrappongono Profamily e Agos. Il progetto di nozze non sembra prevedere misure immediate, ma secondo gli osservatori la prima è in vantaggio, sebbene il marchio della seconda sia molto forte, perché è interamente controllata. Agos, jont venture di cui il Banco possiede il 39%, se arrivasse una proposta alettante potrebbe quindi a tendere uscire dal perimetro.
Tornando agli esuberi: al prepensionamento, su base volontaria, di 1.800 addetti concorrono i 500 tagli già previsti dal Banco dagli accordi in essere.
«Accetteremo unicamente uscite volontarie», ha subito avvertito ieri il leader della Fabi, Lando Maria Sileoni. Il Banco dovrà ora licenziare l'aumento di capitale da un miliardo: l'operazione, a meno di sorprese, scatterà per fine mese.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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