Quei francesi padroni in Italia che non amano il mercato

Cinque anni di sospetti e scontri tra la famiglia Besnier, azionisti e autorità. Fino alla volontà di lasciare la Borsa

Quei francesi padroni in Italia che non amano il mercato

Saranno cinque anni il 15 luglio 2017. Ma Parmalat e Lactalis avranno poco da festeggiare. Il matrimonio tra il gruppo francese controllato dalla famiglia Besnier e la società del latte di Collecchio è, infatti, uno dei più burrascosi che la storia della finanza recente ricordi. Dalle accuse sulla spoliazione del tesoretto Bondi, all'operazione Lag, fino ai più recenti tentativi di togliere il titolo da Piazza Affari, non c'è mossa che i francesi abbiano fatto in Italia che non sia stata oggetto di polemiche, esposti Consob, lotte tra i soci.

Merito o causa della presenza di fondi super attivi tra le fila azionarie. A volte con un mero intento speculativo, altre, a difesa delle ragioni delle minoranze, gli istitutional hanno condizionato la storia finanziaria della Parmalat in questi anni. Ma non solo. Tra i casi più recenti, per esempio, Alerion e Ansaldo Sts sono stati altri due importanti teatri del potere determinante di questi soggetti nei confronti degli azionisti di controllo.

Tornando a Parmalat, dopo 100 giorni dalla scalata dei francesi a Collecchio, le prime polemiche scoppiarono intorno a quello che sarà poi chiamato il caso del tesoretto Bondi. La società, sotto la nuova bandiera francese, annunciò che avrebbe aderito al meccanismo di cash pooling della galassia Lactalis, ossia la condivisione della tesoreria. Un sistema molto diffuso tra le multinazionali, ma che di fatto consegnava la cassa della Parmalat (1,4 miliardi accantonati dal commissario Enrico Bondi dopo il crack) nelle mani dell'azionista di maggioranza. Soldi con cui i francesi avrebbero rimborsato, temporaneamente, il debito generato proprio con la scalata a Parmalat.

La vicenda si intreccia a doppio filo con l'acquisto della società americana Lag. Secondo le accuse, l'operazione nascondeva un affare di famiglia per i Besnier che controllavano sia Lag, sia il gruppo di Collecchio, ritrovandosi nel doppio ruolo di compratore e venditore: tesi condivisa dalla Procura che portò alle dimissioni dell'allora cda e ad un pressing che spinse Lactalis a rivedere il prezzo della trattativa con uno sconto di 130 milioni di dollari. Un affare tortuoso dalla doppia verità: quella italiana secondo cui Lactalis ha conquistato e spogliato Parmalat del proprio valore per assecondare le mire della famiglia Besnier e quella francese che ritiene di essersi sempre mossa nell'interesse della società. Un braccio di ferro continuo che, negli ultimi mesi, ha raggiunto il suo apice dal momento in cui i francesi hanno annunciato di volere lanciare un'offerta di acquisto sul 100% del gruppo per poi togliere il titolo dai radar di Piazza Affari. Tutta la battaglia in corso da dicembre si gioca intorno al prezzo con cui i francesi vorrebbero ritirare le azioni Parmalat in mano alle minoranze. Gli iniziali 2,8 euro sono stati contestati dalle minoranze chiamando in causa il contenzioso con Citibank pendente in Cassazione.

Il dubbio è che sia vicino un accordo tra le parti (Parmalat aveva chiesto anch'essa un risarcimento) che potrebbe cambiare completamente il quadro finanziario della società. E quindi le basi dell'Opa. Queste contestazioni hanno generato finora una integrazione al prospetto d'Opa, un rialzo del prezzo, e dopo il flop di martedì, la riapertura dei termini dell'offerta.

Insomma, i fondi stanno facendo di tutto per rimandare il delisting del titolo e strappare anche il prezzo più corretto da un'eventuale vendita. Anche perché ormai il dado è tratto. Prima o poi i francesi riusciranno a togliere il titolo da Piazza Affari. Ma per i fondi non a discapito delle minoranze.

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