Sull'asse Bazoli-Mediobanca l'accordo per Intesa e Generali

di Marcello Zacché

È stato un segnale flebile. Appena percepito e non certo diretto. Ma quando ieri Giovanni Bazoli ha risposto alla domanda che da un paio di giorni tiene banco in tutta Milano - e cioè cosa ne pensasse della messa in vendita del palazzo di via Solferino dove ha sede il Corriere della Sera - è partito un messaggio esplicito del suo disappunto sul progetto pensato del vertice di Rcs: «Io dico che non vengano alienati quei luoghi che hanno un significato storico e culturale che non deve essere superato dai tempi». Poi la precisazione che il tema non è il trasloco della redazione del Corriere: «Quello - ha affermato Bazoli - è un altro discorso sul quale non mi pronuncio». Quindi: se il trasferimento riguarda la gestione dell'azienda, non è così per la cessione di immobili di pregio. E su questo punto Bazoli ha parlato non solo come azionista (per tramite sia di Mittel, sia di Intesa di cui è presidente) del patto di sindacato che controlla il 63% di Rcs. Ma soprattutto come custode designato di quella impalpabile golden share sul Corriere, ereditata da Gianni Agnelli.
Come noto, l'ad Pietro Scott Jovane, autore del piano, è stato prima voluto e poi sostenuto in Rcs soprattutto dall'asse che l'ad di Mediobanca, Alberto Nagel, ha costruito con John Elkann e la Fiat (insieme sfiorano il 24% del capitale). E in Mediobanca, a esercitare il ruolo di primo socio c'è Unicredit, tramite il suo vicepresidente Fabrizio Palenzona. Da un lato, dunque, Bazoli con Intesa; dall'altro l'asse Palenzona-Nagel. Tutto questo per significare che sulla partita Rcs-Corriere della Sera vengono oggi alla luce le contrapposizioni di potere che, subito dopo le elezioni, si giocheranno altre e ben più rilevanti partite finanziarie: i rinnovi dei vertici di Intesa e di Generali prima di tutto.
Due gruppi dei quali l'uno ha bisogno dell'altro: Intesa partecipa a Generali con l'1,7%, quota piccola, ma sempre più preziosa sia in vista del calo di Mediobanca, destinata a lasciare quota 13% per scendere verso il 10%, sia alla luce di alcune frizioni tra i soci, come quella che riguarda il veicolo societario Effeti (titolare del 2,2%, e in odore di scissione tra il 50% della Crt e l'altro 50% che fa capo al gruppo Palladio). Mentre Trieste controlla il 3,1% di Intesa, quota importante per la riconferma dello stesso Bazoli.
In questa chiave, l'impressione è che in questi giorni pre-elettorali i protagonisti stiano prendendo posizione e marcando il territorio, per evitare sorprese rispetto a quello che, a grandi linee, dovrebbe essere il piano dei rinnovi. E cioè il seguente: nelle Generali dieta dimagrante per il consiglio d'amministrazione: oggi sono 15 i posti, dopo le dimissioni di Balbinot. Nel prossimo triennio dovrebbero essere solo 11, cioè il minimo previsto dallo statuto che ne contempla fino a 21. Tra questi, la conferma del presidente Galateri e dell'ad Greco, dei vice Caltagirone e Bolloré. Completeranno il quadro i rappresentanti dei grandi soci privati e gli indipendenti fino al decimo, perché l'ultimo spetterà alla lista di minoranza.
In Intesa Sanpaolo la riconferma di Bazoli sarà garantita dall'assenso dei grandi soci, Generali comprese, e la Compagnia di San Paolo otterrà il posto di presidente del consiglio di gestione per Gian Maria Gros Pietro. Mentre anche qui il board dovrebbe risultare asciugato: dai 9 membri scenderà a 7, scelti secondo la nuova governance già concordata, cioè con 4 posti ai manager che ne avranno la maggioranza.


Questo schema, che pure lascia qualche mal di pancia tra gli esclusi delle Generali e le Fondazioni di Intesa, sembra il punto di equilibrio tra Nagel, Palenzona, Bazoli, Greco e gli altri protagonisti del risiko finanziario. Per rimandare i grandi cambiamenti al 2015, quando la crisi dovrebbe essere finalmente archiviata. Stando però, nel frattempo, attenti a ogni possibile imboscata.

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