Trump bluffa sui dazi, le Borse giù

Il suo consigliere lo smentisce: «Nessuna intesa sull'auto con la Cina». Milano -1,3%

Trump bluffa sui dazi, le Borse giù

Le bugie hanno le gambe corte, ma quelle di Donald Trump non riescono a reggere nemmeno la distanza che separa un tweet da un altro cinguettio. Il presidente Usa, che solo 24 ore prima aveva dato già per fatto l'accordo con la Cina per ridurre o eliminare i dazi sulle auto americane (attualmente al 40%), è stato ieri clamorosamente smentito dal suo consigliere più fidato, Larry Kudlow: «Credo che il taglio delle tariffe ci sarà, ok? - ha detto - Ma non è ancora stato sottoscritto e realizzato». Insomma, par di capire che l'inquilino della Casa Bianca non abbia ancora nessun asso nella manica nella partita giocata con Pechino. Un bluff che ha subito gelato quegli stessi mercati che, seppur consapevoli della distanza fra i rivali su temi come, per esempio, la proprietà intellettuale e le intrusioni informatiche, a inizio settimana erano andati in rally perché convinti di un cambio di passo radicale nei rapporti commerciali fra le due superpotenze. Wall Street ha preso malissimo la fanfaronata presidenziale arrivando a perdere oltre il 3%, con il Nasdaq in territorio di correzione (ribasso di oltre il 10% dal suo ultimo picco); ma male ha fatto anche l'Europa (-1,37% Milano, la peggiore). A soffrire di più, ovviamente, sono stati i titoli del settore automotive, con l'indice europeo sceso del 2,5%.

La reazione degli investitori indica come la retorica trumpiana stia cercando di coprire le opacità di una tregua di cui ancora si sa poco o niente. Perfino sull'entrata in vigore dell'armistizio regna sovrana la confusione, segno di un cortocircuito nella comunicazione inspiegabile vista la delicatezza dell'argomento. In questo caso, è stato The Donald a sconfessare le parole di lunedì del suo braccio destro, secondo cui il cessate il fuoco sarebbe scattato a partire dal 1 gennaio prossimo, data in cui era previsto l'innalzamento dal 10 al 25% delle tariffe su 200 miliardi di dollari di merci esportate dalla Cina verso gli Usa. The Donald dà invece un timing diverso: «I negoziati con la Cina sono già iniziati. A meno che non siano estesi, termineranno 90 giorni dopo la data della nostra cena fantastica con il presidente Xi in Argentina», ha scritto ieri in un tweet.

Parafrasando Mao, si potrebbe dire che «grande è la confusione sotto il cielo, ma la situazione non è eccellente». Pechino, d'altro canto, non ha fatto finora nulla per fornire qualche dettaglio sui colloqui post G-20 con la controparte. Bocche cucite, in attesa del ritorno in patria, domani, del presidente cinese Xi Jinping. Ma lasciare completamente il campo libero a Trump può essere un rischio. Il presidente Usa sa passare in un attimo dal miele al fiele. «Io e il presidente Xi vogliamo questo accordo, e probabilmente ci sarà. Se non ci sarà, ricordatevi... sono l'uomo dei dazi», ha minacciato in un altro tweet.

Su una cosa Trump ha ragione: gli Usa stanno incassando miliardi di dollari in dazi. Da gennaio gli introiti sono saliti da 3 a poco meno di 5 miliardi.

Non che questo basti ai mercati, dove la trade war è in cima alla lista delle preoccupazioni, al pari dell'inversione della curva dei rendimenti sui T-Bond a 2 e 10 anni, una spia quasi infallibile di recessioni future. Timori che solo la Fed può cancellare usando la mano leggera sui tassi. Al resto deve pensarci Trump.

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