Economia

Ma per tutelare il risparmio ora serve più concorrenza

"Il private banking vive di commissioni troppo alte"

Ma per tutelare il risparmio ora serve più concorrenza

Salvatore Bragantini, ex commissario Consob, esperto di bilanci e trasparenza, è tra i più attenti osservatori dei mutamenti del sistema bancario. Tornati sotto i riflettori per l'operazione Intesa-Ubi. Seguirà un consolidamento in cui la tutela del risparmiatore rischia di passare in secondo piano.

Le banche fanno sempre meno utili. E secondo un suo recente intervento sul Corriere, quelli legati al risparmio gestito e al private banking dipendono da inverosimili margini che occultano a fatica un oligopolio collusivo. Di che si tratta?

«Dai conti di società di gestione e private banking emergono margini lordi del 60, fino all'80%: mi pare che al mondo non esista altra lecita attività umana con cui si possa guadagnare tanto. Dal momento che non guadagnano col credito, che i margini d'interesse sono quasi azzerati dai tassi bassi e che la concorrenza del fintech sarà agguerrita, le banche tendono a diventare supermercati finanziari. E i margini vengono soprattutto da commissioni caricate ai clienti su prodotti collocati da promotori superincentivati. Penso anche a commissioni di performance sostanzialmente truccate, grazie all'azzeramento delle perdite pregresse: giustamente vietato in Italia, ma non all'estero».

Commissioni alte?

«Con i tassi attualmente vicini allo zero, commissioni spesso vicine, se non superiori, al 2% annuo sono oltraggiose. Non è un caso che mentre le banche vengono ormai valutate una quota compresa in genere fra il 20 e il 40% del patrimonio netto, quelle di private banking arrivano anche al 200 e 300% e oltre».

Non può essere che i gestori siano molto esperti e bravi?

«Crederlo mi pare ingenuo. Più facile che il costo rifletta una strategia ben precisa e diffusa: che i prodotti non siano scelti tra i più adatti ai clienti, bensì tra quelli più remunerativi per la società. Operazione facilitata da una concorrenza tra i vari gestori che risulta piuttosto rilassata: ognuno ha a disposizione riserve di caccia ben protette. Gioca poi la riluttanza, anche per motivi fiscali, a far conoscere ad altri la propria posizione finanziaria; ciò frena la ricerca della private bank migliore sul mercato».

Se i margini aggregati del private banking valgono 30 miliardi, a quanto ammonta la quota che deriva dalla scarsa concorrenza?

«Credo che si possa stimarla sui 15 miliardi annui: a tanto ammonta la quota di ricchezza privata di cui i gestori si appropriano grazie a commissioni spropositate».

La Mifid 2 non serviva a far chiarezza sulle commissioni?

«Certamente: ho partecipato al Securities Markets Stakeholder Group dell'Esma, (Autorità europea di supervisione dei mercati finanziari) fino a qualche anno fa. Per Mifid 2 proposi che ogni rendiconto fosse preceduto da una semplice tabella, in bella evidenza, riportante il patrimonio iniziale, il rendimento lordo, i costi, il patrimonio netto, in euro. Perché una cosa è vedere che un investimento è costato il 2%, altra leggere che il gestore mi è costato 10 o magari 100mila euro. E confrontare tale cifra con il rendimento lordo».

E com'è finita?

«L'Esma ha accolto la proposta, rendendo obbligatoria la tabella, ma i gestori han tempestato Consob e Bankitalia di domande su come redigere questa elementare tabella, all'evidente scopo di allontanare l'amaro calice».

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