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ELISABETTA II Dio salvi la regina che sa fare la regina

La sovrana d’Inghilterra nel ritratto di Massimo Fini: «In 55 anni di regno non le ho mai visto sbagliare un colpo Neppure ai funerali di Lady Diana»

ELISABETTA II Dio salvi la regina che sa fare la regina

Ho sempre nutrito una grande ammirazione, anzi un’autentica passione, per Elisabetta II d’Inghilterra. Solo una vera regina può portare quegli orribili cappellini démodé e quegli abiti color pastello, rosa, verdi, marroni, senza rendersi ridicola. È dotata di un autocontrollo eccezionale e di una resistenza fisica e nervosa che le consente, ancora oggi, a 81 anni, di presenziare per ore a noiosissime cerimonie, senza batter ciglio, senza dar segni di insofferenza, di fastidio, di malumore ma anche senza ridere perché a una regina non è concesso. In 55 anni di regno, sempre sotto gli occhi di tutti, non le ho mai visto sbagliare un colpo. Nemmeno, anzi tantomeno, il giorno dei funerali di Lady Diana che diedero, così grandiosi e insieme così composti, con i quattro uomini, Filippo di Edimburgo, Carlo e i due principini a seguire il feretro, la dimensione di un popolo. Il suo lieve ma percettibile inchino al passaggio della bara della principessa davanti a Buckingham Palace, resta memorabile. Un inchino, ma diverso per modo, tono e significato, vidi fare da Elisabetta a Milano quando, accompagnata dal presidente Ciampi, passò davanti alla Prefettura dove era esposta la bandiera italiana. Il cafone livornese fu colto totalmente di sorpresa e tentò tardivamente e goffamente di imitarla riuscendo solo a sottolineare l’abissale distanza di stile che lo divideva dalla regina. Non credo che Elisabetta ami particolarmente il protocollo, il dover indossare, a volte, abiti paradossali e grotteschi come quello dell’Ordine della Giarrettiera, non poter manifestare in nessuna occasione le proprie opinioni politiche (non ha mai detto o fatto niente in pubblico che potesse rivelarle e non ha rilasciato una sola intervista) e nemmeno le sue emozioni. Ma sa che il suo mestiere è quello di regina e che è suo dovere onorarlo fino in fondo. Che è quanto non aveva capito la povera Diana, ragazza dei nostri giorni, la cui tragedia si poteva leggerle sul volto, dietro la veletta bianca, già il giorno delle nozze con Carlo. Le limitazioni di un sovrano sono infinite. Gli sono impedite cose che per gli altri sono normalissime. È un prigioniero di lusso. Perché è un simbolo. E per un simbolo la forma è sostanza (il che non significa che non ci sia anche la costanza: Elisabetta, durante il conflitto delle Falkland, lasciò andare il principe Andrea, che era militare, alla guerra, a rischiare come gli altri). La giornata di Elisabetta è costellata di impegni cui non può sottrarsi. Legge tutti i dossier che le arrivano dal premier, dai ministri, dagli ambasciatori, dai servizi segreti, dai governanti del Commonwealth, firma tutti i documenti, risponde, personalmente o con l’aiuto delle dame di compagnia, alle lettere, riceve visite, conferisce onorificenze a 150 persone per volta e deve prepararsi perché ad ognuna deve sapere dire qualcosa «senza però mai entrare in argomenti che possano essere controversi» (cosa in cui sono specializzati anche il Duca e la Duchessa di Kent che ogni anno devono premiare i vincitori di Wimbledon - è la loro unica funzione pubblica - e hanno una parola, diversa, per ogni singolo raccattapalle con i quali si fermano regolarmente a chiacchierare). Di questi impegni protocollari la regina ne ha circa 400 l’anno. L'unico sfizio che Elisabetta si concede è di precipitarsi la mattina appena alzata, alle 7 e 30, su The Sporting Life, il giornale delle corse dei cavalli, passione ereditata dalla regina madre, assai più lasca e meno rigida di lei, che aveva un collegamento diretto, via telex, con il Tote (il totalizzatore) di tutte le corse, scommetteva volentieri, beveva gin e Martini e ha vissuto fino a 102 anni. Ma in fondo anche questa passione per i cavalli, e i cani di razza, è perfettamente inglese (il principe Carlo ha una faccia assolutamente equina). Le piace anche guidare ancora la sua Jaguar, sia pur all’interno dei suoi possedimenti: nel 1945 quando, con la guerra ancora in corso, fece il servizio militare in un corpo ausiliario, fu addestrata come autista e guida benissimo. In fondo è una donna pratica. Dai gusti semplici (le piacciono i gialli, i programmi comici e i vecchi film). Una brava massaia. Attenta, per non dir tirchia. Spegne personalmente le luci delle sue abitazioni, tiene bassi i termosifoni dei suoi castelli dove fa un freddo cane di cui tutti gli ospiti, di nascosto, si lamentano, come dei suoi pranzi a base di cotolette, non disdegna di farsi fare «sconti reali» quando manda i suoi emissari a comprare qualcosa. Fra i doveri di una regina c’è anche quello di fare figli per associare la continuità della Corona. Lei al consorte, principe Filippo (anche quello se l’è scelto bene: bello, decorativo e innocuo) ne ha sfornati quattro, il primo, Carlo, nel 1948, dopo un anno di matrimonio, l'ultimo, Edoardo, nel 1964, quando era vicina ai quaranta. Nessuno può sapere, tranne gli intimi, se Elisabetta sia anche una donna intelligente. Ma un Re non è obbligato a essere intelligente. Deve saper fare il Re. E a me pare che Elisabetta II d’Inghilterra, pur regnando in tempi tanto diversi, sia una degna erede di suo padre, quel Giorgio VI che durante i devastanti bombardamenti tedeschi su Londra del 1942, restò ostentatamente nella capitale, per infondere fiducia e coraggio ai suoi sudditi.

God save the Queen.

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