Luca Telese
da Roma
Georges Clemenceau ripeteva: «Solo gli imbecilli non sono stati anarchici a ventanni», orgoglioso di essersi fatto reazionario in tarda età, e avendo fatto sparare (da presidente del Consiglio de la repubblique), sulla folla insorta. Dettagli. Enrico Boselli (senza sparare) è fra coloro che confermano la sua sentenza, visto che è stato anarchico, in tenerissima età. Ma è anche uno che sfata leterno adagio per cui dopo essere stati rivoluzionari a ventanni si diventa conservatori a quaranta. Al contrario: alla soglia dei cinquantanni riscopre la radicalità. Si è impegnato nella campagna contro il concordato (che pure fu la bandiera di Bettino Craxi e del garofano), ha cementato lalleanza con Marco Pannella e le sue battaglie di rottura, sta provando a inventarsi la cifra di uno «zapaterismo gentile», che gli piacerebbe declinare in punta di penna: se ne stupisce chi non lo conosce, lo sottovaluta chi non sa cosa sia la tradizione della sinistra laica in Italia.
Intanto Boselli - classe 1957, bolognese «doc» - è uno di quelli che il vaccino della politica lo ha metabolizzato presto, iniziando a far politica alla tenera età di 14 anni. Il suo esordio è proprio in un circolo anarchico. Le tradizioni insurrezionali emiliano-romagnole, le grandi battaglie innocentiste dei primi anni Settanta: quella sulla strage di piazza Fontana in memoria di Giuseppe Pinelli, e subito dopo quella a favore di Pietro Valpreda, accusato di aver piazzato la bomba. La palestra di una generazione, lalfabeto del giovane Enrico, al punto che ancora oggi il segretario Sdi dice: «Di quegli anni mi porto dietro il culto del dubbio e il Dna garantista e libertario». Il desiderio forte, però, è misurarsi con la politica organizzata: e così, a 16 anni, Boselli entra nel Psi sullonda emotiva del congresso di Genova del 1972, dove Francesco De Martino diventa segretario e Pietro Nenni presidente. Il giovane Boselli viene arruolato (è la prassi) sotto la garanzia di un compagno più esperto. Il suo nome? È il futuro economista, Marco Biagi.
Così Boselli si ritrova catapultato nellassise più turbolenta della storia socialista: ogni intervento una raffica di fischi e applausi, e poi contestazioni, insulti e adrenalina. I suoi tutori sono Biagi e Marino Maenza, il suo nume è Riccardo Lombardi, il nome più carismatico della sinistra socialista, uno capace di parlare per tre ore senza un bicchiere dacqua, di citare a memoria interi libri: uno che quando parla sembra più a sinistra del Pci (e forse lo è). La febbre delle passioni di gioventù è raffreddata dalle docce fredde dellera craxiana e Boselli diventa segretario dei giovani socialisti nel 1979: anni in cui, nelle stanze della sua Fgsi passa gente come Guglielmo Epifani, Roberto Villetti, due giovanissimi (futuri giornalisti) come Enrico Mentana e Fabio Martini. È il tempo della gavetta amministrativa: dieci in consiglio comunale a Bologna, uno da vicesindaco, tre da presidente di regione, fra il 1990 e il 1993. Quando un anno dopo diventa segretario dei Socialisti italiani ha fama di tecnocrate sobrio, senza grilli per la testa: in un Psi che consuma leader come fossero Kleenex, si pensa che sarà un altro «traghettatore», dopo la caduta degli dei di Hammamet, e le segreterie-meteora di Ottaviano del Turco e Giorgio Benvenuto. Errore. È qui, infatti, che tira fuori la stoffa di navigatore scafato, sempre alla ricerca di una nuova, più solida casa. Senza clamore, nel giro di dieci anni le prova tutte. Prima associandosi alla lista Dini, dove le cose non vanno bene, perché i socialisti sono in fase stabilizzante e «Lambertow» in fase calante. Poi con Francesco Cossiga quando dal nulla, nel 1999, i due si inventano «il Trifoglio». Geniali. Lesperimento di botanica post-ulivista dura una sola stagione. Ma tra vertici trilaterali (laltro è La Malfa), minacce di crisi e bracci di ferro con i Ds, Boselli si conquista il memorabile soprannome di «aghetto della bilancia» (Maria Latella) e un posto da leader che resiste alle semplificazione degli ultimi anni. Lunica battuta darresto è alle politiche, quando Rutelli impone a lui e ai Verdi lo sfortunato Girasole. Il segretario dello Sdi è abbastanza scaltro per sapere quel che non è, è abbastanza lucido per immaginare quel che può diventare. E così, quando i Ds fassiniani iniziano ad annusare aria di curia, e Rutelli conclude il suo percorso di convertito politico, con Pannella, ad Emma Bonino e a Daniele Capezzone, intravede lo spazio che si apre a sinistra. Il poletto radical socialista ha già recuperato uno dei simboli più belli della storia europea, la rosa nel pugno mitterrandiana.
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