Eppure in piazza c’era un entusiasmo come con Jfk

Una piazza tanto grande quanto affollata, bandierine americane e ceche che sventolano insieme e un palco da rock star con tanto di maxischermi. Sullo sfondo il Castello di Praga e al centro della scena Barack Obama forte di tutta la sua arte oratoria che davanti a oltre 30mila persone immagina «un mondo senza più armi nucleari».
Davvero difficile non andare con la mente a John Fitzgerald Kennedy. Non tanto per l’atmosfera e l’entusiasmo che si respira nell’immensa piazza Hradcani o per le citazioni che l’inquilino della Casa Bianca «ruba» sapientemente al suo predecessore, quanto per il filo che inevitabilmente unisce la giornata eccezionale che ha vissuto ieri Praga a un precedente altrettanto eccezionale. A sfogliare i libri di storia, infatti, un presidente americano che parla a cielo aperto in una città europea quasi fosse a un comizio lo si ritrova nel lontano 15 giugno del 1963. Kennedy, appunto. Che a Berlino tenne un discorso che sarebbe diventato uno dei momenti simbolo della Guerra Fredda. Inevitabile, dunque, che il pensiero finisca lì, al di là di quanto il tono e il ritmo della voce di Obama possano ricordare in molte sfumature quelle del suo celebre predecessore e ben oltre le tante citazioni, esplicite e implicite. Non è un caso, infatti, che Obama parta proprio da dove si era fermato Kennedy, dalla Guerra Fredda. Che, dice, «è finita ma ci ha lasciato in eredità migliaia di ordigni nucleari». Insomma, «mentre il pericolo di una guerra nucleare è sparito, è paradossalmente aumentato quello di un attacco nucleare» da parte di terroristi o di nazioni canaglia. E dunque «onoriamo il nostro passato andando verso un futuro migliore», esorta l’inquilino della Casa Bianca citando in ceco la Rivoluzione di Velluto («Sametova revoluce»). Perché la minaccia del nucleare «riguarda tutti».
Ad acclamarlo c’è una folla oceanica. Con un entusiasmo che, racconta chi allora c’era, a Praga non si vedeva da 20 anni. Dalla rivoluzione, appunto. Quando dissidenti come Vaclav Havel e centinaia di semplici cittadini rovesciarono senza spargimento di sangue il regime dopo oltre 40 anni di dittatura. «Ci ha insegnato molte cose, ci ha mostrato – dice Obama – che una protesta pacifica può scuotere le basi di un impero e rivelare il vuoto di un’ideologia e che anche Paesi piccoli possono avere un ruolo chiave nella storia del mondo».
Così, nel suo ottavo e ultimo giorno in Europa, il presidente degli Stati Uniti presenta il suo grande progetto: riduzione delle scorte, interruzione completa delle sperimentazioni e lotta contro la proliferazione. Un modo, per Washington, di dare l’esempio nella speranza che l’Iran o la Corea del Nord si convincano a rinunciare ai loro programmi di riarmo nucleare. «Oggi – dice Obama – sottolineo l’impegno degli Stati Uniti e il loro desiderio di operare a favore della pace e della sicurezza di un mondo senza armi nucleari». Per questo la Casa Bianca lotterà «con determinazione» a favore di una ratifica da parte del Senato degli Stati Uniti del Comprehensive test ban treaty, il Trattato di interdizione completa dei test nucleari. Obama sa che «un mondo senza armi nucleari» non è obiettivo che - schiocca le dita - si possa «raggiungere subito e forse neanche in una vita». Ma gli Usa «hanno la responsabilità morale» di fare passi avanti da subito. Questo, spiega, senza incoscienza. Perché «fino a quando queste armi esisteranno, manterremo un arsenale sicuro per fare da deterrente contro qualunque avversario e garantire difesa ai nostri alleati». Quella che vuole rappresentare Obama, dunque, è un America della speranza ma anche della concretezza. Perché la decisione di Pyongyang di sfidare la comunità internazionale (ieri la Corea del Nord ha lanciato senza successo un missile-satellite) è un passo che «sottolinea la necessità di un’azione», di una «risposta».
Obama conclude come aveva iniziato, ma questa volta il riferimento a Kennedy non poteva essere più esplicito.

«Parafrasando uno dei miei predecessori – dice – sono orgoglioso di essere l’uomo che ha portato Michelle Obama a Praga». Allo stesso modo di come Kennedy si era detto fiero di «essere l’uomo che ha accompagnato Jacqueline Kennedy a Parigi».
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