Abounaddara, il cinema che racconta la guerra di Siria

Un gruppo di cineasti riuniti sotto il nome collettivo di Abounaddara racconta dal 2011 una Siria che trova poco spazio nella rappresentazione mediatica della guerra civile

Abounaddara, il cinema che racconta la guerra di Siria

Londra - Un gruppo di cineasti riuniti sotto il nome collettivo di Abounaddara racconta dal 2011 una Siria che trova poco spazio nella rappresentazione mediatica della guerra civile. Costretto in una narrazione che oppone lealisti e ribelli, estremisti e "laici" e che comunque lascia al sangue il compito di spiegare e indignare, all'immagine del conflitto manca spesso una voce, quella della società civile.

Il concetto che più sta a cuore a Charif Kiwan, portavoce del collettivo Abounaddara, è la dignità umana. Convinti che non si possa ridurre la guerra di Siria alla lotta dei ribelli, un gruppo di registi ha provato a mettersi di traverso al flusso incessante di video proposti dai social network, con l'idea di ridare una dignità a uno strumento, l'immagine, che ritengono abbia perso credibilità e rilevanza.

Le decine di video caricati ogni giorno, le scene efferate a cui tutti possono assistere, svolgono certamente un ruolo nel racconto della guerra di Siria. Ma non per tutti sono sufficienti. Kiwan, a Londra per la proiezione di alcuni dei cortometraggi del collettivo, riassume in poche parole l'idea che guida il lavoro di Abounaddara: "Il sangue non è necessario".

"Quello che ci lascia esterrefatti - dice il portavoce del gruppo - è la facilità con cui si trasmettono le immagini di siriani feriti, ammazzati. I media avrebbero fatto lo stesso con le vittime dell'11 settembre?". Il ruolo che i cineasti del collettivo si sono ricavati non è quello di raccontare il conflitto, ma piuttosto i suoi effetti sulla popolazione, e di farlo attraverso il cinema.

"Non sono qui per ottenere un maggiore sostegno politico per l'opposizione", spiega Kiwan alla platea del Human Rights Watch Film Festival. Neppure per mostrare i siriani come vittime da compatire, ma piuttosto come "individui che provano ad andare avanti, trasformati dalla guerra".

Dal 2011 Abounaddara pubblica un nuovo cortometraggio ogni venerdì. Lo strumento privilegiato è un canale di Vimeo, a cui fa da megafono una pagina di Facebook. Brevi, talvolta della durata di pochi secondi, i video fanno a meno della violenza esibita, ma non per questo sono meno drammatici.

È il caso de I ragazzi di Halfaya, dove il racconto è affidato a un bambino, che parla con la sicurezza di un adulto di bombe e cadaveri. Ma pure di Prayer in The dark. Qui la telecamera sceglie di raccontare la città assediata di Homs, ricorrendo a immagini di protesta, fortemente connotate da una chitarra rock che accompagna lo slogan dei manifestanti: "Sii dannato, Hafez", dove il riferimento è al padre di Bashar al-Assad, presidente siriano per trent'anni.

براعم حلفايا Children of Halfaya from abou naddara on Vimeo.

I lavori di Abounaddara lasciano da parte sangue e violenza, ma non scordano il contesto: una guerra appena entrata nel suo quarto anno, che ha causato - la stima è degli attivisti dell'Osservatorio siriano per i diritti umani - 146mila morti. Due milioni e mezzo, secondo l'Alto commissariato ONU per i rifugiati (UNHCR), i cittadini fuggiti dalla Siria a causa del conflitto.

La guerra è ben presente nei dodici minuti di Of god

and dogs, corto di Abounaddara recentemente premiato al Sundance Festival. Un primo piano fisso raccoglie la confessione di un soldato dell'Esercito siriano libero, consapevole di avere ucciso un prigioniero innocente.

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