È peggio di Abu Ghraib, la prigione irakena dove i detenuti venivano sanguinosamente oltraggiati da secondini con la divisa dello U.S. Army. Peggio dei soldati americani che si facevano fotografare con gli «scalpi» degli insorti catturati, e anche con pezzi anatomici difficilmente spacciabili come «souvenir», per quanto orripilanti fossero già gli scalpi. Peggio ancora delle stragi chirurgiche compiute dai «drone» che troppe volte hanno scambiato allegre feste di nozze per raduni di talebani e, nel dubbio, hanno sganciato i loro micidiali ordigni.
Stavolta è una strage compiuta da un singolo con donne e bambini abbattuti a raffiche di mitra senza uno straccio di motivo. O forse da un gruppo di delinquenti ubriachi: i racconti e le testimonianze sul punto divergono. Resta l’enormità dell’episodio in sé e il micidiale effetto boomerang per i «portatori di democrazia» in Afghanistan, così come per quelli che stanno alla Casa Bianca o al calduccio, giù al Pentagono. Perché è come se nella notte fra sabato e domenica gli Stati Uniti avessero perso in Afghanistan dieci battaglie in un giorno solo. Mentre i talebani, senza far nulla e senza perdere un uomo o una pallottola, segnano una delle loro pagine più fulgide nella lotta all’invasore. Insomma: un incubo, una storia che prende allo stomaco, un disastro totale, politico e propagandistico.
Naturalmente verrà pronunciata la parola magica: «raptus», un crollo nervoso, una sorta di imperscrutabile marasma intracranico. Si dice sempre così, quando non c’è una spiegazione plausibile. Ma non basterà a placare il dolore, la rabbia, la furia, il devastante e imperituro odio -come se ci fosse bisogno di un supplemento- che gli americani si sono guadagnati l’altra notte dimostrandosi incapaci -loro che possiedono il più grande e tecnologico e sofisticato esercito del mondo- di intercettare e fermare un pazzo (o più di uno) assetato di sangue.
Un militare -questa la storia- che alle 3 del mattino (le 6.30 in Italia, se può interessare) si alza dalla sua branda, esce indisturbato ed entra in tre case di due diversi villaggi: Alkozai e Balandi, nel distretto di Panjwai. È l’area di Kandahar, culla del movimento talebano. Nella prima abitazione, ad Alkozai, il soldato abbatte a colpi d’arma da fuoco 11 persone, tra cui donne e bambini piccoli (alla fine, secondo i testimoni, i bambini massacrati saranno nove). La scena si ripete pochi minuti dopo, con le stesse atroci modalità a Balandi, dove alla fine si contano cinque morti. Secondo il racconto di un reporter locali, i bambini uccisi non avevano più di 2-3 anni. Come se facesse differenza.
Almeno sedici morti. Uccisi e poi anche bruciati, il che aggiunge atrocità ad atrocità. Una sorta di allucinata «disinfestazione». Il soldato-killer è già nelle mani della polizia militare. Si è consegnato lui stesso. Niente caccia all’uomo, niente roteare di fanali e sirene, nella immensa quiete delle notti afghane.
Per il presidente afghano Hamid Karzai si è trattato di «omicidi intenzionali» e ha chiesto alla Nato di fornire spiegazioni. «Quando cittadini afghani vengono deliberatamente uccisi dalle forze americane, si tratta di azioni di omicidio e terrore, azioni imperdonabili», ha detto. Sicché anche le «spiegazioni» chieste alla Nato servono a nulla, risolvendosi piuttosto in una sorta di atto dovuto, una pura formalità. La versione del soldato killer è contraddetta dalle testimonianze di chi sostiene d’aver visto un «gruppo di soldati americani che ridevano ed erano ubriachi, e sparavano all’impazzata». Il che sarebbe anche peggio. Questa è la versione dei talebani, che parlano di attacco premeditato e di oltre 50 morti.
Il generale John Allen, comandante in capo di Isaf, assicura che tutti i responsabili della strage «dovranno rispondere dei loro atti», e che l’«inchiesta sarà rapida e approfondita». Insomma, una specie di minimo garantito. Nell’area che è stata teatro della tragedia c’è un clima di rivolta. Una pressione così forte da indurre il presidente Karzai a chiedere che le forze straniere lascino il Paese.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.