Gli studenti, la gente comune, le massaie che non hanno più niente da mettere in pentola gliele stanno cantando da un pezzo. Ma che dovesse vedersela anche con stelle del pop del calibro di Madonna o di Laura Pausini, il presidente Maduro non se lo sarebbe aspettato. La crisi venezuelana, costata finora 13 morti, rischia di avere una imprevedibile, formidabile spinta da quello stesso star system (portabandiera l'attore Sean Penn) che quando c'è da dare addosso agli Stati Uniti e dire una buona parola per i guevarismi di ogni latitudine non si tira mai indietro. Brutto segno per l'erede di don Hugo Chavez, l'indimenticato cantore del «bolivarismo del ventunesimo secolo». Perché se si muovono Madonna e la Pausini, che a Caracas è più famosa della Madonna di Pompei a Pompei, vuol dire che la campana - almeno mediaticamente - sta davvero suonando proprio per lui, per Maduro, il baffo triste del bolivarismo, lo scialbo erede di Chavez. Anche Shakira e Ricky Martin sono indignati. Del resto, è il popolo che paga il biglietto e riempie gli stadi quando c'è da bailar, no? E dunque che costa, avranno pensato i tiepidi, mandare una cartolina di incoraggiamento a tanti affezionati clienti? La differenza, stavolta, è che ci sono personaggi non proprio di secondo piano, come Cher, che condannano la deriva venezuelana senza nascondersi dietro melliflui giri di parole. Maduro è «un dittatore assassino», manda a dire Cher. «Uno che non sa cosa sono i diritti umani», aggiunge sprezzante Madonna. Su Twitter, gli hashtag più gettonati sono #prayforvenezuela e #sosvenezuela. La cubano-americana Gloria Estefan e il colombiano Juanes li hanno usati per esprimere la loro preoccupazione per la violenza nel Paese sudamericano, così come ha fatto Steve Tyler degli Aerosmith, altro pezzo da novanta della musica popolare.
La sorpresa è che le critiche al modo in cui Maduro affronta la contestazione giovanile arrivano da cantautori di sinistra. Come il panamense Ruben Blades. O come l'uruguayano Jorge Drexler. A favore del governo venezuelano, mentre si registra l'inquietante silenzio di Gianni Minà, si è invece espresso il già citato «pibe de oro». Maradona denuncia «le menzogne create dagli imperialisti», mentre i membri di Ska-P, gruppo punk spagnolo molto popolare in America del Sud, puntano il dito contro «l'oligarchia» e «le grandi corporazioni di gringos», che non mancano mai. É la lenta agonia di un Paese contrappuntata da immagini violentemente in chiaroscuro: come quella di Genesis Carmona, la reginetta di bellezza alla cui morte in piazza è dedicato ora su You Tube un video («Misses por la paz») e di Dayana Mendoza, miss Universo 2008 (vivaio inesauribile di magnifiche sventole, il Venezuela) in prima linea sulle barricate. Ammaestrato probabilmente dalla ingloriosa fine del presidente ucraino Yanukovich, Nicolas Maduro ha deciso di non spingere sull'acceleratore, lasciando per ora briglia non proprio cortissima all'opposizione. Quanto avrebbe resistito, per esempio, uno come il generale Angel Vivas, che si è presentato sul balcone di casa col mitra in spalla, giubbotto antiproiettile e smartphone in mano di fronte ai soldati che erano andati per arrestarlo? «Non mi avrete, sbirri! Servi di Cuba! Andate via o sparo», gridava l'altro giorno il generale, accusato dal regime di tenere bordone ai rivoltosi. Lo hanno lasciato senza acqua e senza luce. Però vivo.
A favore della rivolta, e contro la repressione di Stato si è pronunciato a sorpresa anche Josè Vilma Mora, ex braccio destro di Chavez nonché governatore dello stato di Tachira, nell'ovest, dove la protesta è partita. Vilma Mora non rinnega il suo ruolo nel partito socialista, ma denuncia la repressione come «inaccettabile, eccessiva, inutile», e chiede la liberazione dei «detenuti politici». Come la Pausini, appunto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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