La Dubai d'Europa si costruisce ponti d'oro

Gli enormi proventi del petrolio permettono di realizzare i sogni dei vichinghi. Un tunnel marittimo per navi unico al mondo e un super viadotto galleggiante

La Dubai d'Europa si costruisce ponti d'oro

Ci avevano già pensato i Vichinghi, latrando alla luna e sacrificando montagne di merluzzi a Odino, al quale si chiedeva un miracolo rivelatosi al di là delle sue possibilità. Perfino gli occupanti nazisti, nella seconda guerra mondiale, ci avevano fatto più di un pensierino. Ma ci voleva il know how, e una montagna di soldi. Ora i norvegesi, beati loro, avendo sia quello che questi, il sogno se lo fabbricano da soli, senza chiedere aiuto a nessuno, come sono abituati a fare da quelle parti.
Un tunnel. Il primo tunnel marino al mondo. E in men che non si dica si andrà dal fiordo di Bergen a quello di Ålesund. Un'oretta, diciamo. Forse due, esagerando. Mentre oggi ci vuole una vita, e miliardi di giri d'elica, e miliardi di tubetti di pastiglie contro il mal di mare, per coprire quella distanza. Sempre che il mare, lì al largo, non prenda quell'aspetto, in certe stagioni dell'anno, che consigliava perfino ai vichinghi, che erano i vichinghi, di tirare in secco i navigli e portarseli via terra, a forza di braccia, da un fiordo all'altro.
Lungo un po' più di 1700 metri, scavato ai piedi di una montagna verdissima, il tunnel costerà 1,7 miliardi di corone (circa 200 milioni di euro, cioè una quarantina di euro a testa). Si comincia a scavare fra cinque anni e sarà percorribile all'inizio degli anni Venti. Qualcuno dice che non val la pena. I fautori del progetto sostengono invece che l'opera favorirà il turismo, e decongestionerà le strade costiere dal traffico pesante, con bei vantaggi per l'ambiente.
Non è il solo progetto faraonico al quale stanno pensando a quelle latitudini. Un paio di mesi fa, da Oslo, era arrivata la notizia di un progetto che riguardava un ponte galleggiante di 4 chilometri che dovrebbe risparmiare ai viaggiatori 20 ore di mare per meglio collegare Kristiansund e Trondheim, sulla costa occidentale del Paese. Costo stimato: 24,5 milioni di dollari.
Uno dice: un sacco di soldi! Ma dimentica che stiamo parlando di un Paese nel quale si legano le vigne con le salsicce, proprio come nella contrada di Bengodi descritta dal Boccaccio. Una specie di Dubai del mare del Nord al quale noi del Mediterraneo guardiamo come i parenti poveri allo zio d'America. Perché lì, nel paese del sole di mezzanotte, delle aurore boreali e dei salmoni che sembrano drogati, tanto sono gagliardi, sono riusciti a fare un paio di cosette in cui noi abbiamo toppato alla grande.
Punto primo, la Norvegia è uno dei pochi Stati europei in attivo (più 10 per cento), mentre il nostro debito pubblico viaggia verso l'infinito e oltre (diciamo il 125 per cento del Pil). Punto secondo, è una delle poche nazioni europee a non aver aderito all'euro. E anche questo vuol dire. Poi, verso gli anni Settanta, ci si è messo il petrolio, certo. Ma mentre noi ce lo saremmo fatto soffiare dalle grandi compagnie internazionali, lanciandoci in spensierati giri di valzer con la finanza internazionale globalizzata, lassù hanno pensato che era più prudente fare come gli italiani fecero negli anni Cinquanta, quelli del boom, quando tutti i settori industriali strategici erano in mano allo Stato e c'era un tipo, all'Eni, che si chiamava Enrico Mattei.
Ed ecco i risultati. Primo Paese per sviluppo economico, sostenibilità ambientale, sicurezza e facilità di accesso alle fonti energetiche, secondo uno studio realizzato dal World economic forum. Un Ente pensionistico statale in attivo, come in attivo sono tutti i settori dell'energia (Statoil, Statkraft, Norsk Hydro) che funzionano come orologi svizzeri e producono ricchezza. Il reddito pro capite è il più alto del mondo, con quasi 85 mila dollari all'anno, anche questo segno di una equità e di un'uguaglianza sociale che in Italia, dove il 10 per cento della popolazione detiene il 50 per cento della ricchezza ci sogniamo. Via dall'euro, e via anche dall'Opec, l'organizzazione dei produttori mondiali di petrolio.

I norvegesi non si indebitano con la Bce e hanno fermato sul bagnasciuga il feroce capitalismo globalizzato, mentre i denari che arrivano dal petrolio (che si trivellano in proprio) consente un welfare che anche in Svezia oggi si sognano.
Si dirà: ma loro sono 5 milioni, mentre noi italiani siamo 60 milioni. Vero. Ma il punto di forza, forse, è che di italiani, lassù, ce ne sono pochissimi, e quasi tutti sono turisti.

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