Tutta colpa dell'irruenza del ministro degli Esteri. A Londra non hanno dubbi: è stata una leggerezza di William Hague a fornire una facile ribalta ad Assange. È stato lui infatti a decidere di ignorare il consiglio dei legali del Foreign Office facendo arrivare a Quito la minaccia di un raid nell'ambasciata ecuadoregna a Londra dove l'australiano è asserragliato da due mesi.
Il pressing di Hague, rimasto solo a gestire gli affari correnti in assenza del primo ministro David Cameron e del suo numero due Nick Clegg, entrambi in vacanza in Spagna, ha attirato sul capo del Foreign Office un richiamo di Downing Street e le critiche del corpo diplomatico britannico: ex ministri degli Esteri, ambasciatori ed ex ambasciatori hanno evocato la possibilità di potenziali rappresaglie contro le ambasciate britanniche una volta che alla nota consegnata all'Ecuador sono stati aggiunti i «muscoli» del Diplomatic and Consular Premises Act, una legge del 1987 che in teoria autorizzerebbe la Gran Bretagna a violare l'immunità diplomatica. Ma anche Douglas Hurd, il ministro degli Esteri della Thatcher ha frenato: «C'è molto in gioco quando si parla dell'immunità diplomatica. Noi abbiamo molte più ambasciate dell'Ecuador».
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